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Rasputin. La dissolutezza mistica dello starez russo
Diretto dallo stesso regista di La rabbia (2007), Louis Nero, e con la voce narrante di Franco Nero, questo film sulla personalità enigmatica del monaco russo Rasputin, è interpretato dall’ipnotico sguardo di Francesco Cabras nella parte principale: assolutamente somigliante nel volto e ferreo nel riprodurre il misterico percorso di Grigorij Efimovič, (1869-1916) detto Rasputin - dai contadini per la sua condotta libertaria, deriva da rasputnik, che in russo significa dissoluto - che affascinò la famiglia imperiale dei Romanov.
Un film che fin dall’inizio si presenta come uno sguardo pittoricamente obliquo - regia, fotografia e montaggio hanno il denominatore comune ed onirico di Louis Nero, segno che si staglia profondamente nella pellicola - su un’epoca che ha visto nascere forme religiose alternative; ordini magici che riunivano scrittori celebri come William Butler Yeats e Arthur Machen, ovvero la Golden Dawn (Hermetic Order of the Golden Dawn, Ordine Ermetico dell'Alba Dorata); e lo stesso Georges Ivanovič Gurdjieff (1872-1949), con le sue danze sacre per ottenere una maggior consapevolezza ed un uso misurato delle proprie energie, sorta di demiurgo elitario e saggio seguito nel suo percorso spirituale da artisti come Frank Lloyd Wright, scrittrici come Katherine Mansfield e compositori come Giacinto Scelsi, tra gli altri.
Il film si compone inoltre delle musiche altrettanto caleidoscopiche di Theo Teardo che vi si adattano come un calembour musicale, con un tema portante ribattuto dagli archi più gravi, i violoncelli insieme ad un pizzicato, che riappare a tratti negli altri brani, seguito dalle corde o dal piano che, estremamente ambiguo, rimanda a questioni misteriche.
Dopo una prima presentazione della voce narrante di Franco Nero, che risuona grave, nelle parole pronunciate da Francesco Pannofino, che darà la voce a Rasputin, un primo richiamo ai poteri medianici di questo monaco della Russia zarista in dissoluzione che, dopo aver pellegrinato come starez (o starec, i monaci russi che erravano e venivano accolti con grande rispetto e munificenza da coloro che incontravano per strada), giunge alla residenza degli Zar e salva la vita all’unico erede dei Romanov, il Principe Alexeij, affetto da emofilia.
Un’inquadratura sotto’acqua, che rende vaghi e morbidi i contorni dell’uomo sfigurato, riprende l’ultimo viaggio di Rasputin, gettato nel canale di Malaja Mojka il 16 dicembre 1916 (e rinvenuto il 19 dicembre), dopo che i congiurati lo hanno assassinato con veleno (forse: secondo il biografo Edvard Radzinskij è stato aggiunto per confermare le doti di “immortalità” del monaco dato che non sono state rilevate tracce di veleno durante l’autopsia) e colpi di pistola e manganello di gomma (anche sul viso). La ripresa quasi a pesce dell’inizio sfuma poi nei quadretti che fanno risaltare sia i personaggi sia i fatti (a volte eccessivamente accademici) – ricordiamo che si parte dalla cronaca dell’omicidio di Rasputin avvenuto il 16 dicembre 1916 secondo l‘antico calendario giuliano in uso in Russia - nel nostro, gregoriano, istituito nel 1582 da papa Gregorio XII, è stato il 29 dicembre 1916 –, in particolare della sera in cui un comitato, composto dall'esponente di destra Vladimir Puriskevic, il granduca Dmitrj Pavlovic, l'ambiguo principe Feliks Jusupov (sposato con la bella Irina Aleksandrovna, membro dell'alta società pietroburghese, molto probabilmente di tendenze omosessuali), ha messo in azione il piano congegnato contro il monaco. Secondo dati storici, ciò che ha condotto ad ordire il complotto contro Rasputin, oltre alla riconosciuta influenza sulla zarina e sullo Zar Nicola II – tanto che un grosso esponente della gendarmeria, Dzunkovskij, che lo accusò di condotte libertine, fu immediatamente licenziato e mandato al fronte dallo zar -, fu la sua spinta ad abbandonare la guerra contro la Germania ed i suoi sforzi per ricondurre ad un trattato di pace o di non belligeranza, osteggiata da tutti gli esponenti dell’aristocrazia e del parlamento (la Duma concessa dallo zar Nicola II nel 1905 in seguito a forti proteste e contestazioni e la famosa Domenica di sangue del 22 gennaio dello stesso anno, con oltre cento morti e miglialia di feriti). Inoltre la sua ascendenza sulla zarina complicava i traffici di armi e la corruzione dilagante tra politici ed aristocratici poiché spesso i denunciati venivano effettivamente puniti poi dallo zar.
Nel salotto a casa di Jusupov dove viene attirato con uno stratagemma Rasputin, viene organizzato l’omicidio: il mugic (contadino in russo) siberiano attende con impazienza di incontrare la bella moglie di Jusupov, Irina, che non arriverà mai. Pochi mesi prima il monaco aveva predetto la propria morte e previsto il susseguente sterminio dei Romanov “se fosse stato ucciso per mano di qualcuno di stirpe reale” sarebbe perita l’intera famiglia imperiale:
“Sento che devo morire prima dell’anno nuovo. Se io verrò ucciso dai nobili, le loro mani resteranno macchiate del mio sangue e per venticinque anni non potranno togliersi dalla pelle questo sangue. Zar della terra di Russia, se tu odi il suono delle campane che ti dice che Grigorij è stato ucciso, devi sapere questo. Se sono stati i tuoi parenti che hanno provocato la mia morte, allora nessuno della tua famiglia, rimarrà vivo per più di due anni. Essi saranno uccisi dal popolo russo… Pregate, siate forti…”
Il granduca Dmitrj Pavlovic ed il principe Feliks Jusupov sono di stirpe reale e lo hanno ucciso sparandogli con la pistola, scampando però poi all’esecuzione di Jakov Michajlovič Jurovskij decisa sotterraneamente dal Soviet supremo a danno di tutti i Romanov sopravvissuti (undici in totale i giustiziati a Ekaterinburg).
Ruotando intorno all’omicidio del potentissimo monaco che dettava legge a corte e soprattutto presso la Zarina Alexandra (Diana Dell’Erba) di cui aveva salvato il figlio – lo zar Nicola II era poco interessato alla politica ed inoltre lo difendeva da qualsiasi accusa a spada tratta –, si costruisce però anche un altro quadro, quello della sua adesione alla setta eretica dei Chlisty(o Khlysti) da adolescente, la quale praticava “il peccato per mondarsi dal peccato” (comandamento seguito anche da varie sette come quella dell’Ordo Templii Orientis) con flagellazioni seguite da orge di gruppo. E’ noto inoltre il fascino che emanava sulle donne, conquistandone molte che spesso portava nei bagni russi, e considerati alla stregua di templi sacri, dove praticava riti con esse e con prostitute per purificarle. Tutto ciò era necessario, insieme all’opposta astinenza da carne e dolci (ma non da alcool: erano famose le sue sbornie colossali), per assicurarsi una carica di energia sessuale che, secondo una delle ipotesi non confermate, gli procurava un aumento esponenziale dei suoi poteri da ipnotista. Lo sguardo magnetico di Rasputin è innegabile insieme alla sua capacità di squarciare il velo della coscienza sua e di coloro che vi si avvicinavano: probabilmente la ricerca di un alterato livello di coscienza è da attribuire allo smodato consumo di alcool di questo uomo nuovo, così si faceva chiamara dai 33-34 anni in poi, Novyi. Detestato dalla Chiesa russa ortodossa, dal gelo della Siberia ha saputo conquistare il cuore degli ultimi zar con la sua potenza mistericamente salvifica, rinnovando nondimeno enigmi ancora del tutto insoluti.
A cura dello studioso Edvard Radzinskij, che ha potuto consultare molti documenti, specialmente quelli scoperti nel 1995, la biografia Rasputin tradotta in Italia da Mondadori.