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Santa Cecilia. Joshua Bell, un americano per Dvořák
La prima esecuzione deI Concerto per violino di Antonin Dvořák proprio a Roma nel 1919 con l’Orchestra della Regia Accademia di Santa Cecilia diretta da Bernardino Molinari con Arrigo Serato al violino. Cento anni dopo, giovedì 21 febbraio ore 19.30 (repliche venerdì 22 ore 20.30 e sabato 23 ore 18, Sala Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica) per lo stesso concerto due star internazionali della musica lo presenteranno: il direttore ceco Jakub Hrůša, che torna a guidare l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dopo due concerti di successo nelle scorse stagioni, e il violinista statunitense Joshua Bell.
Noto al vasto pubblico per la suggestiva interpretazione del capolavoro sinfonico di Smetana Ma Vlast nel 2016, il ceco Jakub Hrůša è considerato uno dei direttori più acclamati della scena internazionale, è Direttore Principale della Sinfonica di Bamberg in Baviera. Solista della serata l'americano Joshua Bell che con trent'anni di poliedrica carriera in varie vesti, da solista a musicista da camera, produttore discografico, direttore d'orchestra e regista ed attento nondimeno all'evoluzione della musica contemporanea.
Il Concerto per violino in La minore, Op. 53 (B108) di Antonin Dvořák ebbe la sua prima a Praga, in terra natìa, nel 1883 con al violino solista František Ondříček: seguì al famoso Concerto per violino op. 77 di Brahms ed intendeva omaggiare il violinista già preferito da Brahms, ovvero l'ungherese Joseph Joachim, che però non gradì, giudicandolo poco "classicista" per i suoi gusti, tra cui la ripetizione del terzo movimento. Per questo Dvořák propese per Ondříček che gli diede, insieme al compositore con cui condivideva i natali, un immediato successo. I tre movimenti in cui si divide sono: Allegro ma non troppo (la minore); Adagio ma non troppo (fa maggiore) ed il Finale: Allegro giocoso ma non troppo (la maggiore), quindi iniziando da una tonalità bassa per finire in una maggiore, con un esito giocosamente slavo, caratteristica soprattutto dei due ultimi movimenti, essendo il primo piu' liricamente intenso e cantabile, tra forma-sonata e rondò. Il topos floclorico, come in tutta la produzione di Dvořák, si distribuisce lungo tutto il percorso del concerto, evidenziandosi nel terzo movimento, che si basa su due danze slave con vivaci passi irregolari.
Joshua Bell, che ha interpretato il concerto con assoluta maestria e perfezione, suona su un violino Stradivari Huberman del 1713 e utilizza un archetto francese costruito da François Tourte e risalente al XVIII secolo: il pubblico ha applaudito a lungo chiedendo un bis e, l'unica lamentatio (benevola) é che non lo abbia concesso, nonostante l'ovazione,seduta n questo caso, per convincerlo vieppiu' a considerarlo.
Prima del Concerto per violino di Antonin Dvořák, però, vi è stato un omaggio ad un caposaldo della musica mitteleuropea nella sua verecondia popolare, ovvero le celeberrime Danze Ungheresi (n.17, 18, 19, 20, 21) di Johannes Brahms che ci riportano alla genesi originale di molte composizioni della terra d'Ungheria, che ha dato i natali a Liszt ed alle sue altrettanto famose Rapsodie ungheresi. Nate per pianoforte a quattro mani, le Danze ungheresi riferite al puro canto popolare dal quale traggono spunto, che inglobano, anche elementi colti che il compositore aggiunse nel suo spirito rinnovatore. Brahms le cominciò a comporre nel 1852, quando Clara Schumann, di cui fu sempre perdutamente innamorato, inizio ad eseguirle al pianoforte. Le ultime furono composte quasi vent'anni dopo e datano fino al 1869 però fu l'editore Simrock che ne commissionò la trascrizione per orchestra che Brahms eseguì solo per la 1, la 3 e la 10: le altre furono commissionate ad altri compistori della sua scuderia, tra cui proprio Antonin Dvořák, che orchestrò proprio quelle che abbiamo ascoltato stasera, 17, 18, 19, 20, 21.
L'Orchestra dell'Accademia di Santa Ceciliale le ha eseguite con attenzione, ben diretta dal Maestro Jakub Hrůša, con cui era evidente un feeling che è esploso soprattutto nella seconda parte del concerto con l'esecuzione della Suite da Romeo e Giulietta di Sergej Prokofiev, in cui il pubblico è stato coinvolto nella difficile complessità della partitura che in particolare archi, ottoni, fiati, hanno fatto risuonare in modo raffinato: questa composizione, che originò da un balletto scritto nel 1935 e che poi musicò in tre suite, l'ultima nel 1946. Il balletto fu messo in scena nel 1940 ma le suite hanno una vita propria e sono da sempre aclclamate in tutto il mondo. La suite prescelta è a cura del direttore Hrůša e comprende il Preludio (Balletto n.1); I Montecchi ed i Capuleti (Suite n. 2-1); La giovane Giulietta (Suite n. 2-2); Maschere (Suite n. 1-5); Romeo e Giulietta (Suite n. 1-6); La morte di Tebaldo (Suite n. 1-7); Romeo e Giulietta prima della separazione (Suite. n. 2-5); Romeo alla tomba di Giulietta (Suite n. 2-7); Morte di Giulietta (Balletto n. 52). Bisogna aggiungere nonchè sottolineare, che le due perle di suite furono scritte da Prokofiev che, tornato nel 1935 in Russia per amor di patria, trovò invece molti ostacoli e, visto che il balletto non raggiungeva il palcoscenico in Russia - la prima fu a Brno in Moravia nel 1938 - la prima suite fu composta per essere eseguita in sede sinfonica, che riuscì nel 1936 a Mosca nella Sala della Filarmonica.
Liriche e trascendenti, sognanti nelle loro suggestioni di un amore calpestato dall'insana rivalità tra le due famiglie dei Montecchi e dei Capuleti, Romeo e Giulietta strugge l'ascoltatore per inabissarlo nei suoi vertici fin dal primo tema dedicato a Giulietta, ondivago e leggero, per approdare al drammatico tema dei Capuleti che, torna, inquieto e notturno sia in Maschere sia in La morte di Tebaldo e che solo la leggiadria della fanciulla col suo impeto d'amore, può contrastare. Le marcette, come le danze, traducono gli avvicnamenti d'amore e gli incontri, come quello celebre del balcone; mentre i toni ostinati e ribattuti degli archi, con il picco assoluto della conosciutissima Dance of Knights (La danza dei cavalieri), tradiscono l'inquieta fine della tragedia annunciata da Shakespeare e ripresa da Prokofiev. Vertice assoluto di esecuzione dell'orchestra, ha chiuso il concerto in un tripudio meritatissimo, evidenziato dal pubblico in un abbraccio magniloquente tradotto in applauso.