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Santa Cecilia. Kopatchinskaja e Heras-Casado tra Prokof'ev e l'Eroe di Strauss
La Sala Santa Cecilia ha accolto un programma e degli artisti giovani e strepitosi lo scorso 3 novembre con replice lunedì 5 e martedì 6: la celebre violinista a piedi nudi sul palco, la moldava Patricia Kopatchinskaja per il Concerto n. 2 in sol minore op.63 di Sergej Prokof'ev e Pablo Heras-Casado alla conduzione, direttore principale dell'Orchestra di Saint Luke (il cui predecessore è Sir Donald Runnicles) alla Carnegie Hall di New York. Il concerto si è aperto con l'Ouverture dall'Egmont di Beethoven ed è proseguito con il violino solista di Santa Cecilia, Carlo Maria Parazzoli, per Ein Heldenleben (Una vita da eroe) di Richard Strauss.
L’Ouverture di Beethoven dedicata a Lamoral di Egmont, condottiero fiammingo giustiziato sulla Grand Place a Bruxelles il 5 giugno 1568 per non aver abbandonato la patria al Duca D’Alba come fece invece il Principe di Orange, è particolarmente struggente nella sua melodia portante, malinconicamente decisa nei toni gravi. Il nostalgico dipinto degli archi, che apre l’opera che Beethoven scrisse su ispirazione di Goethe e composta tra 1809 e 1810, dimostra da subito quanto Heras-Casado sia a suo agio nella direzione: conduce con verve e spirito l'Orchestra di Santa Cecilia in pieno respiro e affiatamento. Il trascinante motivo dominante torna con estrema celerità e in crescendo, conferendo un'intensa espressione lirica ad un brano conosciutissimo che celebra un eroe, ricongiungendosi idealmente alla seconda parte del concerto con Vita d'eroe di Strauss, con cui condivide la lealtà e la strenua lotta che ne testimoniano l'integrità eroica, nonostante notevoli differenze.
Il Concerto n. 2 in sol minore per violino e orchestra op. 63 di Sergej Prokof'ev è un'opera per rare ed eccellenti esecuzioni: meno celebre del terzo, e con la prima esecuzione a Madrid nel 1935 (anno della composizione) a opera di Robert Soëtans, deve notevoli incisioni alle bacchette di Ashkenazy e Gutierrez, più di recente di Yundi Li. Di estrema difficoltà fin dall'inizio, la nostra Patricia Kopatchinskaja afferra le prime note soliste sul suo Pressenda del 1834 con un'entrata geniale ed intrisa dello spirito quasi “barbarico” e inafferrabile di questo concerto con andamenti inquieti ed ambigui, compreso il passaggio del tema principale dal violino all'orchestra.
Il secondo tema, più dolce, entra ma lascia poco dopo spazio di nuovo al primo, in un succedersi straniante che presenta anche note dal folclore russo. La cupezza e lo sfuggente andamento è spettacolarmente interpretato dalla violinista che, con attorialità inveterata, dona espressione musicale a ogni singola nota, terminando in un pizzicato che stupisce all'improvviso. L'Andante assai è lieve, con una marcetta che s'incrocia con un tema lirico insinuante, su un tessuto scuro venato di dolcezza: qui la Kopatchinskaja di nuovo è eccelsa e dà voce all'inventività di Prokof'ev con estrema purezza. L'Allegro ben marcato seguente è ritmato e sincopato: un dialogo continuo con l'Orchestra – e le nacchere aggiungono un profilo iberico al brano: incalzanti sono i rimandi tra percussioni e violino che incidono sempre più nervosamente su qualche richiamo dei fiati e con un finale e possente colpo di grancassa.
Generosa con il pubblico plaudente, Patricia Kopatchinskaja termina con ben tre bis dalle danze rumene di Béla Bartók chiamando il primo violino di Parazzoli; il quarto bis è un pizzicato da Zykan. Annoto che Patricia Kopatchinskaja incide per Naïve Classsique, come il pianista e compositore Fazil Say, con cui spesso collabora anche a livello di incisioni, di cui peroriamo la causa, essendo di recente stato condannato al carcere in Turchia per aver twittato battute scherzose sul fondamentalismo islamico.
L'affermazione immediata, potente e luminosa dell'Eroe (Der Held) di Richard Strauss in Ein Heldenleben con i corni in primo piano, il suo tema in bella vista e l'intero organico orchestrale, è evidenziato vieppiù dalla direzione sicura di Heras-Casado: la repentina entrata dell'artista e dell'uomo Strauss, peraltro grande direttore d'orchestra più volte a Santa Cecilia nel primo Novecento a dirigere proprio questo suo poema sinfonico, sono riflesse in quello che è l'ultimo capitolo della trilogia che parte con Also sprach Zarathustra (1896), prosegue con Don Quixote (1897) per terminare con la Vita d'eroe del 1898.
L'uomo-Eroe si contrappone ai Nemici dell'eroe (Des Helden Widersacher), pavidi e fruscianti (come il leitmotiv attribuito al critico Eduard Hanslick, nemico anche di Wagner), grottescamente delineati dallo Scherzo. Il violino solista di Parazzoli svetta sinuoso e lirico delineando la voce de La compagna dell'eroe (Des Helden Gefährtin) che conduce senza soluzione di continuità al Campo di battaglia (Des Helden Walstatt) con squilli di tromba da lontano (fuoriscena). Disturbante e cupo, il lancio della tromba in si bemolle chiama alla lotta che porterà al trionfo dell'eroe. Da Also sprach Zarathustra, Der Genesende in particolare (Il convalescente) come anche da Das Tanzlied (La canzone a ballo), provengono citazioni dirette e dal Don Juan, in special modo in Le opere di pace dell'Eroe (Des Helden Friedenswerke), mentre nel capitolo finale in cui l'Eroe si ritira dal mondo (Des Helden Weltflucht und Vollendung) è diffusa una sostanziale serena accettazione della fine. L'empito, in continuo crescendo, è ben evidenziato da direttore ed Orchestra che fanno risaltare con compiutezza il romantico trionfo dell'Eroe di Strauss e che ben regge il confronto con le direzioni storiche come quella di Kleiber del 1993 al Musikverein di Vienna.