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Solfanelli. Nel bagliore di Rossini di Mario Dal Bello
Uno dei più grandi compositori della storia della musica visto dagli occhi di una grande esperto: Rossini Il teatro della luce, edito in questi giorni da una storica casa editrice come Solfanelli, è giunto alla pubblicazione, e già sommerge di bagliori la storia lastricata di divagazioni in musica e dalla musica del talentuoso autore de Il Barbiere di Siviglia, L'Italiana in Algeri, Guglielmo Tell.
Solo tre opere potrebbero bastare per conquistare il pubblico e raccontare la sua partecipazione fin dall'inizio all'opera – non sempre buffa, ci ricorda Mario Dal Bello, nel suo excursus – di Gioachino Rossini, (o Gioacchino, all'anagrafe Giovacchino Antonio Rossini, Pesaro, 29 febbraio 1792 – Passy, 13 novembre 1868): un genio che ha sedotto folle e non ha conosciuto arresto fino al 1832, anno della ferma prolungata fino al tedio degli ultimi anni, in cui furono però composte due opere la cui solenne preziosità è indiscutibile: lo Stabat Mater (di lunga gestazione, tra 1832 e 1942); e la Petite Messe Solennelle, terminata cinque anni prima della sua dipartita, nel 1863. In questo, nell'indicizzare, rivelare, educare nel senso più alto alle differenti opere del Sommo, Mario Dal Bello è chiaro nella scrittura quanto preciso nei dettagli, introducendo alla musica del Maestro esplicitandone le rivoluzioni, come l'ampliamento dell'orchestra e, come afferma Dal Bello: “la primaria posizione del “canto” in Rossini, lui tenore, che condivide con cantanti ed orchestra, insieme alla permanenza continua di un'atmosfera scintillante che si dilata nel famoso “crescendo” rossiniano, strumento dopo strumento fino allo scoppio di luce finale”.
Questa “luce rossiniana” che tutti riconoscono nella “vitalità, bellezza melodica, nei colori dell'orchestra non deve ingannare o abbagliare appunto “(dal libro, p. 9 dell'Introduzione): la parte scrittorea che dedicava all'orchestrazione, introducendo nondimeno nell'orchestra ulteriori archi, è di finissima levigatura ma anche di “sovvertimenti” buffi del linguaggio che meritano attenzione e studio, come ne L'Italiana in Algeri (1813): qui tutto diventa fonema, puro suono originario, dove tutti cantano come in “una follia” come asseriva Stendhal, suo grande cultore, un'opera di 600 pagine composta dal Maestro in venti giorni.
Il Rossini serio invece “trasfigura”, come dice Dal Bello: “Prendiamo Semiramide (1823), forse il suo picco assoluto insieme al Guglielmo Tell (1829): il dramma dell'uccisione del marito viene mutato in apparizione, e nonostante tutta la tragedia di fondo, non ci sono finali tragici. Il magico coro “Del cielo stellato" (originale francese: Des cieux où tu résides) del Moïse et Pharaon (1827) raggiunge i livelli aulici del sovrannaturale. Il Gugliemo Tell, per il suo standard, fu l'opera composta in più lungo tempo: ben tre mesi e contiene una sinfonia vera e propria, con una placida pastorale che segue il grandioso temporale (memorabile la versione alla Scala di un Muti giovane negli anni '80), seguita dalla celebre marcia della ribellione. Il finale, con l'Inno alla libertà – poco conosciuto invece – è dedicato alla libertà universale – prima dell'800 il patriottismo non esisteva, in particolare tra i musicisti – che si afferma come una melodia discendente, un raggio di luce che scende dall'alto, che questo musicista puro scrisse a soli 37 anni”.