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Torino MITO 2011. Fazil Say e le sue sue fascinose anarchie
Di Fazil Say si possono coniare molteplici definizioni, a seconda dell'approccio, dell'angolo visuale con cui ci si accosta al pianista turco. Di certo non lo si puo' definire un ortodosso del concertismo pianistico. Nemmeno come repertorio. Tecnica sbalorditiva, certo, ma mai fine a sé stessa, approccio spesso volutamente percussivo, fraseggio quasi sempre anticonvenzionale (senza mai peraltro scadere nel manierismo), profonda affezione per le measse sonore ed il loro assemblaggio in emozioni che della forza d'urto fanno (anche) uno dei suoi capisaldi espressivi e comunicativi.
Poco o nulla incline alla filologia ed al rapporto col testo musicale scritto affrontato secondo i parametri rigidi che voglio l'interprete “mezzo” per riportare all'ascoltatore- spettatore d'oggi il pensiero e lo “status” emozionale del compositore. In piu' e' musicista crossover, se mi e' permesso il termine, aduso a frequentare non solo l'ambiance classico, ma pure quello jazzistico ed il mondo dell'improvvisazione in generale. Ed è pur lui medesimo compositore. Per mia parte il primo contatto lo ebbi attraverso un disco (come spesso accade e come non dovrebbe troppo accadere, nel mondo della muscia, perchè la musica e' fatta per l'escolto dal vivo: e i piu' volentereosi tra i lettori di Gothic Network potrebbero non perdere l'occasione di andare a leggere o rileggere il mai invecchiato saggio del 1935 di Walter Benjamin L'opera d'arte nell'epoca della sua riprodicibilità tecnica).
Say incide per la Naive e quasi una decina d'anni orsono mi capitò tra le mani un suo cd “Black Earth”, che conteneva 4 minuti scarsi della piu' fantasmagorica esercitazione pianistica mi fosse sino ad allora (e per il vero anche dopo) capitato d'ascoltare: la “rivisitazione” (a tratti spettacolarmente jazzistica) delle Variazioni su di un tema di Paganinidi Brahms.
Una folgorazione: da allora in avanti Fazil Say mi annovare tra i suoi fedeli ed adoranti sudditi. Tra l'altro quell'oramai lontano disco conteneva anche il concerto “Silk Road” del 1997 per pianoforte e orchestra da camera, che ha proposto nella sala del Lingotto di Torino nell'ambito del Festival MITO – Settembre Musica. Programma spaccapolsi, per il vero, assolutamente inusuale, di questi tempi di solisti che troppo spesso si centellinano con il bilancino del farmacista (soprattutto nelle esibizioni con accompagnamento orchestrale). Dato poi che il programma prevedeva anche il Concerto in sol di Ravel, quello in do k 467 di Mozart (indimenticabile la dolcezza anticonvenzionale del movimento lento centrale, con Say che, oltre a suonare, pare voler far propri gi strumenti dell'orchestra tutta, abbracciandoli in un unico dolcissimo assolo sonoro), e la Rapsodie in Blue di Gershwin.
Un'intera serata per pianoforte e orchestra, insomma, per la gioia del pubblico torinese assai poco sabaudo, una tantum, e che ha dato l'impressione di essere, di fronte al nostro, compatto nell'adorazione costante. Tanto da meritarsi due fuori programma uno più' fascinoso dell'altro.