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La vedova allegra a Verona. Tiezzi dirige un'operetta avveniristica da Chez Maxim
La Fondazione Arena di Verona ha inaugurato la stagione invernale con la celebre operetta La vedova allegra, musicata dall’altrettanto famoso compositore austro-ungarico Franz Lehár. L'operetta è andata in scena dal 13 dicembre al 2 gennaio 2011 con sette rappresentazioni, che hanno visto alternarsi un doppio cast nei protagonisti.
La vedova allegra, nell’immaginario collettivo di un pubblico non più giovanissimo, è l’Operetta per eccellenza. Forse per questo il Teatro Filarmonico di Verona si è riempito per tutte le sette serate di spettacolo, con pubblico giunto anche da fuori, in particolare quello mantovano.
Tuttavia, nonostante il suo valore simbolico, soprattutto per i cultori del genere, la produzione non ha soddisfatto appieno le aspettative. A sua giustificazione bisogna però riconoscere che non è facile produrre un’operetta. È un genere tanto bello e godibile quando difficile da realizzare, perché richiede interpreti polivalenti che, oltre al cantare, sappiano anche recitare e ballare.
In Italia ci sono due tipi di spettacoli di operetta: quelli delle Compagnie, cosiddette di giro, e quelli delle Fondazioni liriche. Le prime presentano spettacoli basati più sul recitato che sul cantato e suonato; le Fondazioni più sul cantato e suonato che sul recitato.
Non fa eccezione La vedova allegra vista a Verona. Dotata del supporto vocale di cantanti come il soprano Silvia Della Benetta, nel ruolo principale, affiancata da altri comprimari dalle voci liriche appropriate e da un’orchestra, come quella dell’Arena, forte di una sessantina di elementi, ci ha dato l’idea di che cosa può essere musicalmente un’operetta.
La storia è presto detta. In un ricevimento del Pontevedro, piccolo ed immaginario stato balcanico ridotto alla bancarotta, si aspetta con ansia l’arrivo della ancor giovane Hanna Glavari, vedova del defunto e ricchissimo banchiere Glavari. Il denaro della vedova deve servire a risollevare le sorti del piccolo stato. Quindi si imposta una strategia per far sì che il giovane segretario dell’Ambasciata, il conte Danilo Danilovič, corteggi positivamente la bella vedova, tanto da sposarla.
Ma le cose si complicano per vecchi rancori fra i due giovani, inframmezzati dalla corte del diplomatico francese Camille de Rossillon a Valencienne, la giovane moglie dell’attempato ambasciatore pontevedrino Mirko Zeta. Bellissima e struggente la romanza “Come di rose un cespo”. Il finale, lietissimo e scontato, vede il ballo tra Hanna e Danilo, suggellato dall’altrettanto famosa aria “Tace il labbro…”.
Lo spettacolo visivamente e cromaticamente risulta molto suggestivo. Con i bei costumi di Giovanna Buzzi e la scenografia, forse un po’ troppo avveniristica, per il periodo in cui si svolge la storia, di Edoardo Sanchi. Un pizzico di delusione anche nelle danze, coreografate da Giovanni Di Cicco. Sia quelle folkloristiche della scena della Viilja, sia quelle del Can Can che dovrebbero servire a dare un dimensione trasgressiva e parigina a tutta la vicenda.
Buono l’apporto del Coro diretto da Giovanni Andreoli. Discreta la direzione di Julian Kovatchev. L’unico vero attore e cabarettista è stato Gennaro Cannavacciuolo, della scuola napoletana, nel ruolo comico di Nijegus (l'impiegato di cancelleria dell'armata pontevedrina), che è riuscito a strappare più di un applauso. La regia di Federico Tiezzi, già famoso per i suoi Magazzini Criminali, è stata pulita, riducendo al minimo i dialoghi, tenuto conto della non facile sostenibilità di essi da parte dei cantanti. Buona anche la tecnica di proiettare le parole del cantato su un piccolo visore. Uno spettacolo gradevole, quindi, che a parte gli intenditori e i nostalgici, è stato apprezzato molto in tutte le repliche.
In fondo, uno spettacolo proposto da una Fondazione lirica si avvale di tutte quelle risorse vocali, musicali, strutturali ed umane che una compagnia di giro non potrà mai avere. La musica di Lehár ha fatto il resto.