Alberto Giacometti. Una scultura onirica ed esistenzialista

Articolo di: 
Nica Fiori
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Nato nella Svizzera di lingua italiana, e più precisamente nella Val Bregaglia (Cantone dei Grigioni), Alberto Giacometti (1901 - 1966) è considerato uno dei più grandi scultori del Novecento, celebre soprattutto per quelle figure bronzee estremamente allungate, che fanno pensare all’etrusca “Ombra della sera”. Figure che sicuramente stupiranno i visitatori della Galleria Borghese, che dal 5 febbraio al 25 maggio 2014 ospita l’attesissima mostra “Giacometti. La scultura”, curata da Anna Coliva e Christian Klemm.

Figlio del pittore postimpressionista Giovanni Giacometti, il giovane Alberto cresce in un ambiente colto e aperto all’arte. Precoce disegnatore, nel 1920 compie con il padre il suo primo viaggio in Italia, quando visita Venezia in occasione della XII Biennale d’Arte, ma si innamora di Tintoretto. Nel 1922 è a Parigi, dove segue i corsi di scultura di Antoine Bourdelle all’Accademia della Grande Chaumière, ma per la sua formazione hanno maggiore importanza l’arte cicladica, quella africana e il cubismo.

Nel 1928 aderisce al movimento surrealista, dal quale si stacca nel 1935 per ritornare a una figurazione ricca di riferimenti ai primitivi. Egli sviluppa nel tempo una sua inconfondibile poetica, onirica, tragica ed esistenzialista, che è fortemente emblematica di un secolo che vede grandi sconvolgimenti politici, storici e culturali.

Ben 40 sono le opere esposte per raccontare l’artista: si tratta di bronzi, gessi e disegni che indagano soprattutto la figura umana, scavandone l’anima fino a ridurre drammaticamente il corpo. Volutamente si vuol far dialogare la Donna sdraiata che sogna (1929) con la Paolina Borghese di Antonio Canova, l’Uomo che vacilla con l’energia statica con il David di Gian Lorenzo Bernini, l’Uomo che cammina del 1947 con l’Enea e Anchise, pure berniniano. Quest’ultima è forse la scultura più nota di Giacometti, nata come schizzo per il monumento alla memoria del deputato comunista Gabriel Péri.

Nella Sala degli Imperatori, la Mano del 1947 e la Gamba del 1958 ci mostrano la scultura come frammento, mentre nella stanza dell’Ermafrodito troviamo la Donna cucchiaio (1929), caratterizzata da una totale negazione dei tratti umani, e la Donna sgozzata, del 1933, che osservata da lontano sembra una creatura minacciosa. Anche i busti sono documentati in mostra, tra cui quello della moglie Annette (1961) e alcuni disegni, che costituivano per l’artista il mezzo più rapido per fissare un’idea. L’acquerello Roma (1921) ci riporta alla gioventù e più precisamente al suo felice soggiorno romano, indubbiamente ricco di esperienze artistiche.

In quella che è la casa della scultura per eccellenza, una mostra di aperta rottura con i canoni della tradizione classica non si era mai vista. E, in effetti, la prima impressione è spiazzante. Come fanno quelle fragili opere, si chiede lo stesso Klemm, a “esistere accanto a statue che sprizzano forza e bellezza”? Eppure, il senso del confronto va ricercato nelle parole di Giacometti che sentiva l’arte di tutte le epoche come viva e contemporanea: “Tutta l’arte del passato, di tutte le epoche e di tutte le civiltà, compare davanti a me, tutto è simultaneo come se il tempo prendesse il posto dello spazio”.

Anna Coliva, da parte sua, sostiene che nella Galleria Borghese, la cui collezione scultorea va da quella greca e romana all’Ottocento, mancava proprio il Novecento. Se è vero che la bellezza di un museo è fatta delle memorie di tutti i tempi, è pure vero che qui l’effetto dell’arte di Giacometti è “più fortemente drammatico che non in un contesto di arte contemporanea”. Le sculture realizzate per la Chase Manhattan Plaza di New York (tra cui Donna in piedi I, Grande donna II, Uomo che cammina I, tutte del 1960), che accolgono i visitatori nel primo salone, sono state pensate per essere circondate da edifici di 60 piani, proprio per dimostrare quanto sia drammaticamente impossibile per la scultura moderna essere monumentale e possente.

Ebbene, nella Galleria Borghese non ci sono grattacieli, ma potenti capolavori dell’arte. Queste figure di Giacometti sono tutt’altro che piccole (alcune misurano tre metri), ma la drammaticità di quei corpi che si consumano fino al massimo grado le fa quasi svanire nello spazio. E qui è spontaneo il riferimento a una precedente mostra, quella di Francis Bacon, che in un certo senso ha distrutto, o meglio dissolto, la pittura, così come Giacometti ha fatto con la sua scultura mirata al dissolvimento estremo della materia.

Scheda
Titolo completo: 

Alberto Giacometti. La scultura

Dal 5 febbraio al 25 maggio 2014

Roma, Galleria Borghese

Orario: da martedì a domenica dalle 9.00 alle 19.00

Catalogo: Skira