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Alexander Calder al Palaexpo. Il pneuma dell'azione
Fino al 14 febbraio 2010 la mostra di Alexander Calder al Palazzo delle Esposizioni di Roma ci accoglie con un vento naturale, quasi sospinto dai nostri stessi aliti, perché forse son proprio quelli a muovere e a far ruotare tutti i mobiles di Calder, artista americano naturalizzato francese e morto nel 1976.
Fin da quando era piccolo usava il fil di ferro per creare piccoli animali come il cane o l’anatra, realizzati nel 1909 a 11 anni ed esposti nella prima sala a sinistra. Se ci spostiamo un poco a destra osserviamo i disegni ad inchiostro su carta del 1925 e capiamo subito che la natura, animale oppure no, fa parte del suo universo, stabiles o mobiles (oggetti che si muovono e da cui deriva il movimento) che sia. Ed è nelle sale grandi che capiamo cosa ha condotto Calder dagli acrobati in fil di ferro – visibili anche nelle scene ricreate del circo e sopra nell’auditorium con il film dove ha partecipato anche lui – alle sculture tutte librate verso l’alto, sospese in un magma invisibile che le scuote leggerissimamente e fa quasi sembrare allo spettatore di essere protagonista, col suo pneuma (fiato come anima in greco), dell’azione. se, come vediamo nel film nel capitolo dedicato a Marx Ernst, che “l’amore non è che un intimo principio di azione”, allora veniamo a cogliere il significato – non troppo recondito – di queste sculture: mettere in moto la vita. La vita che c’è dentro le cose, attraverso la natura di cui facciamo parte: dallo zoccolo alto quattro metri (Sabot) alla fantasmagoria delle Digitali scarlatte (1945), vero emblema della circumnavigazione aerea in tre dimensioni, manca solo il suono ad accompagnarla, ma immaginiamo Cage che ci accoglie di sopra insieme a Paul Bowles nell’episodio “Balletto” di Calder, dal film di Hans Richter del 1948 “Sogni che i soldi possono comprare”, e proseguiamo nella visita.
Un Ragno gigantesco del 1940 vicino ad un Piccolo ragno nella sala delle Costellazioni, creazioni del ’43 che mi sembrano costruite basandosi su logaritmi astrali che nell’Arco di petali (1941) danno voce al pensiero di Calder che guida ogni sua idea scultorea: “L’universo è reale ma non lo puoi vedere. Lo devi immaginare”. Ora capiamo perché il genio di Sartre e la poesia di André Mausson fanno da cappello al suo catalogo del 1949 “L’Atelier de Calder” e citiamo dei versi: “un carosello di piccole lune scarlatte che rallegra/ penso a un circo trasparente”.
La gotica Lenticchia del 1944 e la Radice con la Vite sono il preludio alla Cascata di fiori rossi-gialli-neri-blu che rotea in tondo specchiandosi nelle proprie ombre: il Melograno sboccia su di esse per condurre fino al Pesce di vetro composto dalle schegge trovate da lui stesso, che formano il tessuto iridescente delle scaglie.
Roxbury ed il Connecticut, Saché e la Francia, le fotografie di Ugo Mulas rivestono la prospettiva di spiegare chi fosse col suo spirito irriverente riflesso dagli occhi vividi, ripreso nella campagna, nei suoi ateliers enormi e fulgidi di matrici per le opere. Un ammasso quasi irriconoscibile in cui spuntano i petali di neve dalla Raffica di neve di Roxbury, senza colpire mai col freddo delle loro ghiacce gocce.