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Another End. Uno psicopompo per il cuore
Dopo esser stato presentato in premiere al 74* edizione del Festival del Film di Berlino, Another End, a firma Piero Messina, il 21 marzo prossimo sbarca in Italia con il suo cast internazionale: Gael García Bernal, Renate Reinsve, Bérénice Bejo e Olivia Williams grazie alla 01 Distribution. Fantascienza distopica in un mix con le relazioni d'amore.
Un'atmosfera distonica, come se Sal, il protagonista (Gael García Bernal), vivesse in un tempo a lui estraneo e lo facesse provare allo spettatore: questi i primi attimi in cui lo si segue dentro una casa al centro di una città irta di grattacieli freddi color ghisa o acciaio. Una qualunque città senz'anima, con una popolazione anglofona, che a volte sembra Londra, altre la periferia romana: Another End riflette su una tematica macabra, la possibilità di far rivivere i morti per qualche tempo, giusto quello per metabolizzare la loro perdita. I morti si chiamano gli "Assenti", a conferire loro un aspetto ancora piu' fantasmatico e irreale; chi riceve i loro ricordi e li "agisce" in prima persona è il Locatario, The Host (l'ospite in italiano), in un teatro che è la casa di chi è rimasto e quindi lo spazio familiare. Locatario in inglese suona come The Host, l'ospite, che in linguaggio informatico è il sito web su un server cui si ha accesso su Internet.
Panorama grigio che irradia atopicità, un non luogo, quello da cui si dirama il titolo Another End appena scorrono i primi secondi dei titoli del film, formato dalle lettere di "Nowhere": un'introduzione al dilemma di questo limbo in cui permangono i morti che, in fondo, vivono attraverso i ricordi dei vivi, i sopravvisssuti.
Sal ha perduto la moglie in un incidente e viene convinto dalla sorella, Ebe (Bérénice Bejo), che lavora nell'azienda Aeterna, a provare il programma "Another End", che gli permette di rivivere alcuni momenti con una donna cui è impiantata la memoria della moglie per alcune "visite".
Il film è un thriller, giocato molto bene nell'intreccio, nonostante ci sia qualche incongruenza di fondo: le immagini e la fotografia, a cura di Fabrizio La Palombara, sono ipnoticamente grotteschi, tra il seppia ed il grigio, consustanziando un livore a tutta la pellicola.
L'inconsapevolezza dei morti di essere morti, per non scioccarli con questa tremenda verità, come se fossero solo un cervello criogenicamente conservato, ha, d'altra parte, i vivi conniventi con loro e questa folle illusione. Il film si riconnette sia a Non lasciarmi (regia di Mark Romanek, 2011), che si occupa di clonazione di esseri umani; sia a L'aragosta di Yorgos Lanthimos del 2015, altro film distopico riguardo i rapporti umani, con la stesso flusso plumbeo di immagini. Altre pellcole cui può essersi ispirato Pietro Messina, e che noi annoveriamo sono il lontano Coma (1978) di Michael Crichton ed il piu' recente Coma (2019), del russo Rinal Mukhametov.
In proposito, viene in mente anche l'ultimo breve romanzo di Amélie Nothomb, dal titolo Piscopompo, (edizioni Voland) che è esattamente ciò che i Locatari sono per chi è rimasto: aprendo un canale di comunicazione con gli Assenti che non vi sono piu', una sorta di Anubi teconologico ed impietoso.