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Canova tra di noi a palazzo Braschi
Abilmente e suggestivamente disposta nelle sale di Palazzo Braschi – dal 9 ottobre 2019 al 15 marzo 2020 – la mostra “Canova eterna bellezza” offre ai visitatori romani e stranieri l’incanto dei disegni, dei gessi e delle sculture in marmo di Antonio Canova (Possagno, 1º novembre 1757 – Venezia, 13 ottobre 1822). Sono circa 170 opere – alcune di artisti contemporanei di Canova – con prestiti importanti provenienti, fra l’altro, dall’Ermitage di San Pietroburgo, dai Musei Vaticani, dalla Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno. Si vedono anche trenta suggestive fotografie di Mimmo Iodice che cercano di restituire al visitatore di oggi – consumatore dell’immagine digitalizzata - quella fascinazione dell’antico che è il messaggio profondo e intemporale del Neoclassicismo di fine ‘700 e di primo ‘800.
Se l’impaginazione dell’allestimento è in larga misura storiografica - al centro vi è il rapporto fra Canova e Roma, dal 1779, con le sue diverse circostanze e occorrenze storiche – nella mostra irrompe, in punti decisivi, la semiotica del Genio: la grandezza romantica del Maestro, la forza vitale e trasfiguratrice dell’artista colossale e irripetibile. Con questo impeto, in alcune sale, si torna alla morfologia personalistica che più tradizionalmente conosciamo in Italia e che incontra il favore di un pubblico che si accosta all’arte classica e moderna in cerca dell’emozione e dalla commozione estetica.
Sicuramente apprezzabile è l’approfondimento, con pannelli, libri e documenti, del rapporto di Canova con l’Accademia di San Luca, alla quale fu aggregato nel 1800 e di cui fu nominato principe nel 1810 e principe perpetuo nel 1814. Come pure interessa la ricostruzione dell’incontro con Napoleone Bonaparte o la vicenda intrigante della sua nomina, nel 1802, a Ispettore generale delle Belle Arti dello Stato della Chiesa nelle cui vesti, nel 1814, poté recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi. La mostra, fra l’altro, è collocata proprio in quel Palazzo Braschi del papa Pio VI esiliato nel 1798 in Toscana – Giannangelo Braschi, pontefice dal 1775 al 1799 – e Canova, fieramente antigiacobino, aveva anche lui abbandonato Roma, proprio all’epoca della Repubblica del 1798, per rifugiarsi nella natia Possagno.
Tuttavia, ciò che di più colpisce il visitatore è l’esibizione canoviana del mito greco e del mito cristiano come fonte di esperienza e di meditazione. La “Danzatrice mani sui fianchi”, 1806-1812, l’“Endimione dormiente”, il “Fauno Barberini”, ante 1811, la “Maddalena penitente” commuovono; e poi i grandi Monumenti funerari di Clemente XIV, di Clemente XIII e il bozzetto per “Monumento agli ultimi Stuart” mostrano il lento trapasso di Canova dalla scultura mitologica neoclassica alla scultura sepolcrale di intensa sensibilità cristiana. E questo trascina: il biancore dei corpi che danzano dalla vita alla morte fino all’eternità dell’arte.