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Castel Sant’Angelo. I papi della speranza
Castel Sant’Angelo, che per secoli è stata una fortezza pontificia, collegata a San Pietro dal cosiddetto Passetto di Borgo, accoglie quest’anno la mostra “I papi della speranza. Arte e religiosità nella Roma del ‘600”, quale segno di omaggio per papa Francesco nel primo anniversario della sua elezione.
In effetti, così come l’attuale papa è apportatore di speranza e di cambiamento, anche i pontefici che si sono succeduti sul trono di Pietro dopo la Controriforma hanno cercato di imprimere un forte significato sacro alla città tra la fine del ‘500 e la prima metà del ‘600.
La mostra, a cura di Maria Grazia Bernardini e Mario Lolli Ghetti, si divide in tre sezioni, “Roma Sancta”, incentrata sul recupero del cristianesimo delle origini, “I Giubilei”, con particolare riferimento a quelli del 1575, 1600, 1625, 1650, e “Arte e devozione”, sul culto delle reliquie e la canonizzazione dei santi, in particolare San Filippo Neri, fiorentino di nascita ma romano di adozione.
Nell’ambito della prima sezione, grande importanza assume la riscoperta della vera storia dei martiri, anche grazie a libri come il Martyrologium romanum del cardinale Cesare Baronio, o il volume Roma Sotterrranea di Antonio Bosio, che analizza le catacombe romane. Risale al 1599 il ritrovamento del corpo incorrotto di Santa Cecilia, raffigurata in un dipinto di Simon Vouet e in una terracotta ottocentesca che si rifà alla statua marmorea di Stefano Maderno conservata nella chiesa di Trastevere dedicata alla santa. La scultura mostra la martire così come era stata rinvenuta, tranne che per il particolare della testa che era staccata, ma che Maderno raffigurò congiunta, con i segni sul collo delle ferite inferte dai carnefici.
Molto significativa appare la sezione dedicata ai giubilei, perché il Giubileo può essere considerato come un esempio emblematico della storia della città eterna. Roma ritorna ad essere, ogni 25 anni, il centro del mondo, in un’ansia di ricerca e rinnovamento spirituali che spingono nella città dei papi una quantità impressionante di pellegrini. L’attesa di questa massa di fedeli ha sempre stimolato la ridefinizione dell’immagine della città nei suoi vari aspetti, non solo religiosi, ma anche architettonici e funzionali. E Roma sembra rinascere ogni volta dalle sue crisi, come la fenice, con un aspetto nuovo.
Grande importanza assume il cerimoniale dell’apertura delle Porte Sante nelle quattro basiliche maggiori, perché il muro della Porta Santa si identifica con la roccia e con la pietra, solido fondamento della Chiesa universale. Gregorio XIII Boncompagni, il cui nome è legato alla riforma del calendario, inaugurò il giubileo del 1575, che vide la presenza di oltre 400.000 pellegrini, tra cui il cardinale Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, che verrà poi canonizzato nel 1610 da Paolo V Borghese.
Tra le pratiche devozionali si impone un pellegrinaggio di antica tradizione, ma rivitalizzato da San Filippo Neri, la “visita delle sette chiese” che contava, oltre alle quattro basiliche maggiori, quelle di San Sebastiano sulla via Appia antica, San Lorenzo fuori le Mura e Santa Croce in Gerusalemme. Il pellegrinaggio, che veniva compiuto a piedi in due giorni, prevedeva una sosta per mangiare nella villa Mattei al Celio (ora villa Celimontana).
Il nuovo stato d’animo, la coscienza della forza dei valori definiti dal Concilio di Trento (1545-1563) impongono un’arte nuova, potente, capace di capovolgere tutti i canoni preesistenti. E così nel Seicento nasce a Roma l’arte barocca, con artisti del calibro di Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona. Grazie alla forza evocativa delle immagini, il Seicento rappresenta nell’arte quell’età dell’oro, della quale parla esplicitamente Giovan Battista Passeri a proposito del pontificato di Urbano VIII Barberini, raffigurato in mostra in un busto di Bernini, del quale sono esposti anche un bronzo dorato raffigurante la contessa Matilde di Canossa e una terracotta con Abacuc e l’Angelo.
Ma anche Clemente VIII Aldobrandini (ritratto bronzeo di Taddeo Landini), e Innocenzo X Pamphili (ritratto ad olio del ticinese Pier Francesco Mola), si possono considerare come prìncipi della Chiesa trionfante che contribuiscono a trasformare radicalmente il volto solenne di Roma. Il tessuto culturale della Roma del Seicento viene evidenziato nei suoi molteplici aspetti dall’analisi delle committenze pontificie. Ognuno di questi papi è promotore e protagonista di un anno giubilare, occasione per intensificare cerimonie religiose e grandi apparati spettacolari, che nascono da una stretta collaborazione tra tutte le arti e destano la meraviglia degli abitanti e dei pellegrini.
Nell’ultima sezione dedicata al culto dei santi, si assiste a un rinnovamento dell’iconografia sacra: abbondano gli episodi della vita dei santi che esaltano la vicinanza con Dio e quindi le visioni, le estasi mistiche, le ascensioni al cielo e i cori angelici. Tra le numerose opere in mostra ricordiamo Santa Dafrosa e Sant’Alessio morente di Pietro da Cortona, Angeli musicanti di Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, Santa Francesca Romana e l’Angelo di Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino, San Carlo Borromeo intercede presso la SS.Trinità di Orazio Borgianni, Madonna con Bambino e i santi Carlo Borromeo e Bartolomeo di Giovanni Lanfranco, la testa bronzea di San Filippo Neri di Alessandro Algardi e uno spettacolare triplice ritratto in marmo di tre cardinali, eseguito da Domenico Guidi negli anni 1669/75 in un unico blocco lungo oltre due metri, presentato al pubblico per la prima volta.