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Chiostro del Bramante. L'Ottocento italiano dei Macchiaioli
La macchia di colore in opposizione alla forma: ai suoi tempi doveva apparire ben spregiudicata la tecnica dei Macchiaioli, usata per paesaggi e soggetti di vita quotidiana, ben lontani dai temi aulici caldeggiati dalle accademie. Quella pittura veristica, tipica del movimento più importante dell’Ottocento italiano, dopo un periodo di oblio è stata giustamente rivalutata ed è protagonista a Roma nel Chiostro del Bramante della grande mostra I Macchiaioli. Le collezioni svelate, ricca di oltre 110 dipinti, alcuni dei quali inediti.
Il merito dell’esposizione, curata con grande competenza da Francesca Dini, consiste nel farci scoprire, insieme agli artisti più significativi del gruppo che si riuniva nel Caffè Michelangelo di Firenze, il gusto dei collezionisti d’arte della loro epoca, tant’è che la mostra è divisa in nove sezioni, ognuna intitolata a un mecenate e collezionista. L’atmosfera ovattata delle loro dimore rivive in parte nell’allestimento espositivo che prevede, sotto luci attenuate, ricostruzioni di pareti e alcuni arredi.
Il primo capogruppo della scuola, anche in virtù della sua preparazione culturale, fu Telemaco Signorini, che a partire dagli anni ‘50 dell’Ottocento iniziò a dipingere dal vero insieme a Odoardo Borrani e Vincenzo Cabianca, prediligendo temi realistico–sociali e paesaggistici. Altri nomi importanti furono Giovanni Fattori, noto soprattutto per le scene di battaglia di una immediatezza e freschezza che nasceva in realtà da lunghi studi preparatori, Silvestro Lega, dalle linee sobrie e pure che caratterizzano le sue scene di vita borghese, e poi Giuseppe Abbati, Nino Costa, Adriano Cecioni. Frequentarono il Caffè Michelangelo anche artisti destinati a una brillante carriera a Parigi come Giovanni Boldini, del quale è in mostra nella prima sala uno splendido ritratto di fanciulla, intitolato "Testina bionda", dove già si intravede quella sua straordinaria capacità di percepire e cogliere l’essenza della femminilità.
Ed è proprio con Giovanni Boldini che entriamo nell’intimità della casa di Cristiano Banti (il primo collezionista dei Macchiaioli e pittore egli stesso), dove ci accolgono due ritratti di Alaide Banti, figlia del padrone di casa e fidanzata di Boldini, e quindi una sequenza di paesaggi, tra i quali non passano certo inosservati “Il ponte della Pazienza a Venezia” di Signorini e “Il mattino (Le monachine)” di Cabianca.
La seconda sezione è dedicata a Diego Martelli, il critico e mecenate che accoglieva i Macchiaioli nella sua ridente tenuta di Castiglioncello e che verso la fine della sua vita decise di rendere pubblica la sua quadreria, che andò a costituire il primo nucleo della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Tra le opere esposte c’è il vivido ritratto della moglie eseguito da Abbati.
A Rinaldo Carnielo, pittore, scultore e collezionista trevigiano che frequentò gli anziani Macchiaioli, legandosi soprattutto a Fattori e Lega, è dedicata la terza sezione. Egli raccolse ben 300 opere, ma la sua collezione fu dispersa a cavallo tra le due guerre. Ammiriamo in sala tra le altre cose il suo ritratto eseguito da Lega, “Cavalleggeri in vedetta” di Fattori, “L’ora del riposo” di Abbati.
Un imprenditore innamorato della bellezza: la collezione di Edoardo Bruno è il titolo della quarta sezione che raccoglie capolavori un tempo conservati nella sua dimora rinascimentale di Firenze, tra cui il dipinto dal sapore risorgimentale “Cucitrici di camicie rosse” di Borrani, “Le gramignaie al fiume” di Niccolò Cannicci e “Uliveta a Settignano” di Signorini, rimasto finora inedito. Nella stessa sala primeggiano i grandi quadri di Fattori “L’appello dopo la carica” e “Incontro fatale”, dall’intenso e dinamico realismo.
Proseguendo incontriamo “Casa Sforni, ovvero le “stanze delle meraviglie” del mecenate fiorentino Gustavo Sforni, cultore delle opere di Fattori, soprattutto quelle di piccolo formato, che accostava a dipinti di arte orientale e medievale, pure presenti in mostra, e alle opere di artisti a lui contemporanei come Oscar Ghiglia, autore tra l’altro del Ritratto della moglie Isa Sforni (1902) o a straordinari oggetti d’arte come il cofanetto in avorio degli Embriachi.
Nella sezione dedicata a Mario Galli, scultore fiorentino, definito in mostra il più acuto e raffinato intenditore dei Macchiaioli, troviamo la splendida “Casa e marina a Castiglioncello” di Borrani, “La filatrice” di Cabianca e “La Ciociara” di Fattori, mai esposta prima, che raffigura Amalia Nollemberg (nel 1881 ca.), la giovane della quale era innamorato all’epoca Fattori.
La collezione di Enrico Checcucci ospitava anch’essa grandi personalità come Fattori e Boldini, come pure capolavori di Raffaello Sernesi (“Pastura in montagna”, 1861) e di Vito D’Ancona (“Signora in giardino”, 1861).
Non solo Macchiaioli, la collezione di Camillo Giussani è l’ottava sezione in mostra, che accoglie gli impressionisti italiani Federico Zandomeneghi (“Il giubbetto rosso”, 1895) e Giuseppe De Nittis (“Place de la Concorde”, 1875), come pure l’impressionista belga Emile Claus e l’orientalista Alberto Pasini, insieme ai macchiaioli Sernesi, Borrani e Signorini, tutti artisti che venivano apprezzati dall’insigne giurista e intellettuale milanese.
L’ultimo protagonista è il toscano Mario Borgiotti, grande conoscitore e divulgatore d’arte, cui si devono numerose pubblicazioni sui Macchiaioli edite negli anni 50 e 60 del Novecento. A lui si deve, in particolare, il recupero sul mercato inglese di un capolavoro di Signorini che ora possiamo ammirare in mostra in tutto il suo splendore: “Il Ponte Vecchio a Firenze”, raffigurante il celebre ponte sull’Arno nel 1878 ca. Il sentimento del vero di Signorini emerge con mille macchie di colore, contrapponendo luci e ombre e, allo stesso tempo, l’abbigliamento ricco di una fanciulla con quello di una poveretta che accompagna il padre carrettaio.