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David LaChapelle. Vanità contemporanee e loro conseguenze
Mentre Galella scattava a raffica senza nemmeno guardare nell’obbiettivo, cercando di catturare la normalità di una star, LaChapelle costruisce i propri set con maniacale minuzia (per certi versi in modo simile a Gregory Crewdson) e racconta come l’immagine pubblica del personaggio cancelli quella privata per evidente maggiore peso specifico. L’umanità è quasi schiacciata dalla vanità.
Questo si vede chiaramente, ad esempio, nella serie dedicata allo Star System. Qui personaggi celebri del mondo della musica e dello spettacolo in generale, sono ritratti in situazioni paradossali, eccessive e decisamente auto celebrative. Possiamo ammirare Elton John con le due uova della colazione poste sugli occhi (Elton John: egg on his face, 1999), o Alicia Keys con un pianoforte in fiamme (Alicia Keys: a trail by fire for a young artist, 2003), in un’ottima metafora del mondo della pop music milionaria.
Micheal Jackson diventa una sorta di essere in odor di beatificazione, quasi trasfigurato nella sua irrealtà somatica (The Beatification: I’ll never let you part for you’re always in my heart, 2009) e Angelina Jolie è ritratta in primissimo piano nella stessa estasi della Santa Teresa del Bernini, ma dove, tolto il misticismo, rimane solo un’estasi fisica, non meno intensa ma più “superficiale” (Angelina Jolie: lusty spring, 2001).
Altri personaggi sono ritratti in modo più “umano”, come Whitney Houston catturata in un momento di paura del palcoscenico, o la foto di Puff Daddy la cui sola espressione esemplifica perfettamente il tatuaggio che porta sul braccio destro: “bad boy”. Naomi Campbell è ritratta con un bicchiere da cognac in mano, e alla perfezione del suo corpo fanno eco tutte le linee della composizione, bilanciata dal contrasto della carnagione scura con sfondo e vesti tendenti al bianco.
In tutto questo sfoggio pop non potevano che trovare spazio riferimenti e citazioni dirette di Warhol, ma tali riferimenti sono per lo più di carattere formale. Ad esempio, la serie Destruction and Disaster trova la sua origine nei Disasters di Warhol portandosi un passo avanti tramite l’inserimento del “fattore vanità”, in base al quale in ambientazioni sul punto di collassare ed essere distrutte resistono modelle bellissime e illese nella loro perfezione. La persistenza nella propria vanità in quanto unica radice che definisce la persona, unico baluardo prima del vuoto, che sia interiore o esteriore (distruzione fisica).
Oppure, altra citazione clamorosa di Warhol, l’opera Amanda as Warhol’s Liz in red (2007), dove la modella prediletta Amanda Lepore è ritratta come la Liz Taylor di Warhol, con tratti facciali esagerati tramite trucco e colori iper-saturi, distorcendo ancora una volta la realtà e la percezione della persona.
Molto altro materiale cade in questa larga tipologia, come le serie Plastic People (la vanità del corpo in una ricerca artificiale della perfezione, che crea aberrazioni) e Dream evokes Surrealism (assolutamente degna di nota Kirsten Dunst: Bell Jar, opera dalle molte suggestioni psicologiche e letterarie in una concisa critica alla vanità sociale).
L’ironia di LaChapelle traspare nella serie Excess, che consta di una serie di ritratti di pornostar occupate in vari amplessi in luoghi pubblici, tutti tanto patinati da non sembrare più atti sessuali, ma scintillanti blocchi di carne lucida il cui eccesso intrinseco pare non essere notato da una società ormai abituata ad ogni assurdità.
Accanto però a queste rappresentazioni più o meno surreali, ma sempre riconducibili alla ritrattistica, nella mostra trova spazio anche una produzione molto varia, con notevoli rimandi alla storia dell’arte anche classica.
Ad esempio, una serie che non ci si aspetta e che fa riconsiderare un po’ tutta la personalità dell’artista è Earth laughs in flowers, costituita esclusivamente da nature morte. Il nome della serie è preso da una poesia di Ralph Waldo Emerson, Hamatreya:
Where are these men? Asleep beneath their grounds:
And strangers, fond as they, their furrows plough.
Earth laughs in flowers, to see her boastful boys
Earth-proud, proud of the earth which is not theirs;
Who steer the plough, but cannot steer their feet
Clear of the grave.¹
La poesia, a sua volta, prende ispirazione da un passaggio del Vishnu Purana (uno dei testi sacri indù) che esprime gli stessi concetti: l’arroganza del re e del colono (e per estensione, di tutta l’umanità) che credono di dominare la natura, quando è in realtà lei che li domina, in quanto essi da lei vengono e a lei ritornano, mentre solo lei perdura.
In questa serie LaChapelle parte dalle nature morte seicentesche, ma contamina queste composizioni stagionali quasi arcimboldesche con tutta una serie di oggetti e suppellettili della società umana: cellulari, bambole, cellophane, carta igienica… e i tutto questo non c’è nemmeno l’ombra di un essere umano.
Questa estrema caducità, specialmente di fronte a forze più grandi delle nostre (la natura) oltre che in questa e nella serie Destruction and Disaster citata prima, è evidente nella serie Deluge, dove l’artista investiga le conseguenze psicologiche e sociali di un ipotetico diluvio universale. È esposta After the deluge: Cathedral (2007) dove, in una cattedrale sul punto di crollare allestita in stile Crewdson, assistiamo alle reazioni della gente comune dopo l’arrivo del diluvio.
Evidente qua lo studio classico in generale e della Cappella Sistina in particolare. Lo stesso tipo di approccio filologico, ma con una sconsiderata dose d’ironia, si ha nel rifacimento della Nascita di Venere del Botticelli: Birth of Venus (2009) dove una Venere supermodel è circondata da due aitanti ragazzi e da segni distintivi della società consumistica ed edonistica. Da notare che il pube della ragazza è nascosto da una conchiglia tenuta da uno dei due ragazzi, con un effetto ancor più volgare e ammiccante di una sessualità esplicita.
Tornando a Deluge, il suo completamento concettuale è la serie Awakened: ritratti a figura intera di persone comuni immerse in apnea. Una luce surreale, da rivelazione celeste, li avvolge. Questa probabilmente è una fine interpretabile in senso positivo: coloro che sono stati investiti dal diluvio hanno compreso che la radice dell’esistenza umana giace nel proprio intimo, mentre la vanità esteriore viene spazzata via dai marosi del tempo, e nulla di essa, infine, mai rimarrà. E così nell’acqua, da cui la vita sulla terra in primo luogo si era originata, una nuova vita può nascere; spogliata finalmente del peso superfluo essa può risalire in superficie e colonizzare di nuovo il mondo.
Infine, Negative Currency: serie composta esclusivamente da negativi di banconote. Chiaro riferimento alla crisi del sistema consumistico di cui la banconota è simbolo, e con esso crisi di tutte le strutture sociali e psicologiche correlate.
Come si nota, l’opera dell’artista statunitense è sufficientemente variegata da consentirgli un’indagine abbastanza accurata sui temi da lui scelti: in primis la natura della vanità sociale e le sue manifestazioni, come essa dia forma all’individuo e non si arresti solo nella sua immagine pubblica. In secondo luogo, come questa vanità sia specchio della caducità dell’esistenza e simbolo di instabilità interiore.
Tutto questo, sia detto come nota di chiusura, con capacità tecniche quasi perfette.
Note:
1 - Tratto da Hamatreya, di Ralph Waldo Emerson, seconda stanza.
"Dove sono questi uomini? Addormentati sotto le loro terre:
E stranieri, fieri come loro, scavano i propri solchi.
La terra ride nei fiori, nel vedere i suoi ragazzi vanagloriosi
Fieri della terra, fieri di terra che non è loro;
Che guidano l’aratro, ma non riescono a guidare i loro piedi
Per evitare la tomba."
(libera traduzione)