Il regista inglese Richard Jones ha firmato lo spettacolo che il 27 novembre scorso ha inaugurato la Stagione 2024/25 dell’Opera di Roma: Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi. La nuova produzione del Teatro capitolino, lo ha visto di nuovo alla regia dopoLa dama di picche e Káťa Kabanová. Sul podio, a dirigere l'Orchestra del Teatrodell’Opera di Roma il direttore musicale della Fondazione Capitolina, Michele Mariotti. Il Coro è stato diretto da Ciro Visco. Protagonisti sono stati Luca Salsi nel ruolo del titolo; Eleonora Buratto come Maria Boccanegra; Michele Pertusi nella parte del nobile Jacopo Fiesco; Stefan Pop nelle vesti di Gabriele Adorno, Gevorg Hakobyan come Paolo Albiani. Claudio Sgura, nelle vesti del titolo, ha ricoperto la parte principale il 29 novembre, il 1° ed il 4 dicembre, e per un'indisposzione di Luca Salsi, lo è stato, in forma eccezionale, il 30 novembre, serata che abbiamo seguito con attenzione. La serata inaugurale del 27 novembre è trasmessa da Rai Cultura in prima serata su Rai5 alle 21.15 e in diretta su Radio3 Rai alle 18.00. Repliche fino al 5 dicembre.
Sul grande schermo è uscito da poco Wicked, intitolato come Wicked: Parte 1 (Wicked: Part 1), diretto da Jon M. Chu. Il sottotitolo fa da subito pernsare ad un continuum, e forse anche ad una serie, estrapolata da questo musical di Winnie Holzman e Stephen Schwartz, a sua volta ispirato al romanzo Strega - Cronache dal Regno di Oz in rivolta di Gregory Maguire, una rivisitazione del capostipite Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum.
Il Complesso Museale di Santa Maria della Scala dal 17 ottobre al 30 marzo 2025 ospita la mostra Costellazioni. Arte italiana 1915-1960 dalle Collezioni Banca Monte dei Paschi di Siena e Cesare Brandi, a cura del Prof. Luca Quattrocchi, Ordinario di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Siena.
Ad anticipare l'apertura di stagione del Teatro dell’Opera di Roma, due serate particolari il 23 ed il 24 novembre scorsi al Teatro Nazionale: Il sogno di Simon Boccanegra, un adattamento del tutto inedito dell’opera lirica di Verdi scritto e diretto da Dario D’Ambrosi, prodotto dal Teatro Patologico in collaborazione con il Teatro dell’Opera di Roma e con il supporto dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata e della Fondazione Angelini. Un progetto unico in cui mondo della lirica e dell’arte terapia si incontrano, con protagonisti sul palco gli attori con disabilità della Compagnia stabile del Patologico.
La grande letteratura riesce a cogliere e decifrare i lati reconditi dell’animo umano e a mostrare come abbia origine la passione umana. Sándor Márai, nel suo libro intitolato Bébi, il primo amore, edito dalla casa editrice Adelphi, indaga con sguardo penetrante l’animo di un maturo professore di liceo. La narrazione, che si dipana in questo magistrale libro in forma di diario, si apre con il professore che medita sul rapporto tra la vita interiore e ciò che va annotando nel suo taccuino, riconoscendo che è difficile descrivere i movimenti dell’animo umano.
De Filippis. Preistorico splendore
Articolo di:
Livia Bidoli
Primitivamente istoriati, i corpi dei guerrieri di de Filippis si muovono attraverso flessuosità plastiche in universi di disincanto esponenziale. Paradisi d’inferno fantascientifico delineano narrazioni sincopate in sincronia con il tenero livore di alcuni tratti, dipinti dalle lucide spanne di touches de couleurs vibranti sul rosso e sull’argento. Ancora, sulle braccia, quasi trattenute nell’impervio sostare della tensione muscolare, si innestano vene appena sollecitate, invariabilmente mobili nel loro peregrinare tra fatiche umane e d’interiore ed eroica purezza. I guerrieri tacciono, immersi nella plasticità desueta di un turbinoso vigore, accogliendo forzatamente tattili metafore di un luogo dell’altrove. Sembra quasi di udire il tragico canto del pittore attraverso di loro, come asseriva Kafka a proposito delle sue silenti sirene, scrivendo a Milena: ”Cerco sempre e ancora di comunicare qualcosa di non comunicabile, di spiegare qualcosa d’inspiegabile, di raccontare qualcosa che ho nelle ossa e di cui soltanto in queste ossa si può fare esperienza”[1].
L’altrove rimosso determina la pittura rutilante di de Filippis conducendo in uno spazio simile ad un’intercapedine dalla quale finalmente si possano percepire i sussurri del risveglio da un canto reso muto in un passato remotissimo. Il superamento agognato, stremato sulla soglia di una tenebra accentuatamente divelta dagli sprazzi di colore che come tagli infliggono ferite sul legno, è sempre una lotta che nelle parole di Bataille trova la sua dimensione descrittiva: “L’essere raggiunge il fulgore accecante nell’annientamento tragico”[2]. L’apoteosi di questo movimento acceca per il furore espressionista proprio nelle gambe sezionate di Il giocattolaio, emblema stesso della frantumazione dell’io in un mito, il cui passo scorre aldilà del tempo in cui gli è stato concesso di nascere. Un Dio disperso tra la polvere, i cui granelli microscopici derivano da parti fratturate nel momento stesso dell’impetuoso slancio. Un gesto disperatamente nichilista come afferma di nuovo Bataille: ”Il nulla stesso è il suo giocattolo: non vi si inabissa che per lacerarlo e illuminarne la notte al quale non sarebbe mai pervenuto se questo nulla non si aprisse totalmente sotto i suoi piedi”[3].
La fiamma della candela sul capo dell’ultimo quadro appena terminato non è che il simbolo di un fuoco desto, nonostante questo annientamento, in tutti gli sprazzi incrinati della pittura, in tutti gli acerbi spruzzi di matrice rubino, una circolazione vitale che ha il sangue come suo memento fulminante e fondante. Il teschio rosso di The Circle non fa che reiterare una ricerca di ubiquità nell’animo, quasi a lacerare quelle barriere che non permettono di trasferirsi in luoghi appena immaginati. La forza sovrumana dell’evocazione non fa che richiamare l’attenzione su un atto doppiamente leggibile, sia nel senso di annichilimento sia come correlativo oggettivo di un magma folgorante sul punto di esplodere.
Ed allora ci si accorge che il viaggio di Ulisse è ancora di là da venire, il Ciclope come le sirene lo attraggono in absentia, come se il vero viaggiatore non fosse lì, direttamente nel quadro, ma da qualche parte, ai lati, ad osservare qualcosa che accade unicamente perché il pittore vi si è tramutato, essenza stessa e raffigurazione, forse qui, forse altrove. Azionando ex novo i meccanismi che irrompono sul legno dipinto, incidendo pensieri in volo rapido, in traiettorie obnubilanti che, spargendo autentiche grida d’amianto, irrigano con gli elementi puri le cromie variabili di un viaggio. Nelle viscere di un mondo capovolto, ove le stesse emozioni si fanno corpi assoluti, un brillare verde-dorato di un mago o forse di un iniziato, raggomitolato con il braccio e la mano tesa (come tutti i corpi dipinti nei quadri) a mostrare un ciondolo con un cerchio ed un drago, un anello dei Nibelunghi in tutta certezza conquistato. A questo punto i guerrieri lamentano con le stesse parole di Frika dal II° atto di La Valchiria di Richard Wagner: “Con misterioso senso/ mi vuoi illudere:/ che di eroico dovrebbero/ gli eroi mai operare,/ che fosse proibito ai loro dèi,/ il cui favore soltanto opera in loro?”[4].
[1] Franz Kafka, Lettere a Milena, traduzione di Ervino Pocar, Oscar Mondadori 1979.
[2] Georges Bataille, Il labirinto, traduzione di Sergio Finzi, SE, Milano, 2003, p. 24.
[4] Richard Wagner dal II atto di Die Walküre (stesura 1851-56, la prima teatrale il 26 giugno 1870) , traduzione di Guido Manacorda: “Mit tiefem Sinne/ willst du mich täuschen:/ was Hehres sollten/ Helden je wirken,/ das ihren Göttern wäre verwehrt,/ deren Gunst in ihnen nur wirkt?”.