Supporta Gothic Network
Deredia. Incanto della genesi e sfere gioiello nelle Esposizioni
Il Palazzo delle Esposizioni offre quattro mostre tutte diverse in questo panorama estivo. Una, da poco conclusasi, il 2 agosto, è Fotografia Festival Internazionale di Roma giunto alla sua VIII° edizione, che si compone anche dei notevoli scatti di Gina Lollobrigida, in una veste di inviata all’estero del tutto sconosciuta. La Ruta de la Paz di Deredia fino al 13 settembre, in mostra con altre sculture dello stesso ciclo a Palazzo Altemps, Palazzo Massimo e al Foro Romano, è la più riflessiva e compositamente ontologica.
Jorge Jiménez Deredia è un artista nato in Costa Rica nel 1954 e che è rimasto famoso per la sua gigantesca scultura del 2000 nell’abside di San Pietro ed il cui progetto ruota intorno al significato della Genesi in senso cosmico e sincretico. La Genesi del 2003, il cui secondo nome è Canto alla Vita, in bronzo, ci accoglie con le fattezze di una donna-uovo che si può guardare sia in un senso, sia nel suo opposto. Dalla donna che culla l’uovo fra le sue mani, stringendolo fra le braccia e accovacciata sopra di lui, fino all’unione simbiotica che la unisce in un tutt’uno con questo grande messaggio creativo che, nelle terre dei nativi americani, ha preso il nome da Colombo e dalla sua scoperta.
Dalla donna, all’uovo, alla sfera il passo è breve ed i progetti, ognuno con il nome di uno stato differente, per lo più sudamericano, Cile, Colombia, la sua Costa Rica, il Messico, lo Yucatan ed il Perù, ma anche gli Stati Uniti ed il Canada, traggono tutti ispirazione da sfere precolombiane in connubio con le stelle, in una rifrazione continua e transazionale. Le mutazioni sono incise in curve marmoree provenienti da Carrara oppure dalla Grecia, culla di letture pre-freudiane e pre-junghiane sull’inconscio che tutto sostanzia, in direzioni universali e ripetute nel tempo-spazio infinito, in volo su un assoluto che fa convergere simboli e pianeti nella Roma eterno coacervo di segni dispersi nell’etere.
Fotografia apre delle prospettive inusitate, come quella della Russia calda e folclorica di Davide Monteleone, sottotitolata Dall’anima al corpo. Viaggio nel Caucaso. Gli sfocati paesaggi rarefatti dai colori freddi si contrappongono agli aloni brumosi della gente, oppure ai paesaggi alla Pissarro del Lago Baikal e poi donne antiche, visi preoccupati, antenati in foto che assomigliano a quegli album dei defunti che inquietavano le prime scoperte della bella Kidman di The Others, in pieno spirito jamesiano, la figure in the carpet olivastra e spagnola di Amenabar.
Gli stati periferici in Ossezia, con i militari in un'uniforme inservibile, che scompaiono dietro la Dream Sequence ed i video cupi del piano superiore, di artisti che si accomunano per i grigi bagliori in lento susseguirsi su pareti al plasma. Invece gli interni, tutti a fuoco, di Attraverso la finestra di Giorgio Barrera, specialmente il palazzo di Trieste con i balconi verdastri e la luce giallina, ci impongono una riflessione, un po’ tormentata, sull’esistenza, infliggendoci un passo cadenzato, quasi a sopperire a quella mancanza di senso dovuta alla pignola correttezza di tutte le luci al loro posto, fuori e dentro, in un susseguirsi eguale.
Stratos Kalafatis con le sue Declinations of Joy riscalda il cuore e porge i colori come dipinti, sprazzi fortuiti, senza economia, i rossi, i gialli, i blu intensissimi ci abbagliano per condurci ad una nuova scoperta relazionale, quella di Nan Goldin ed il suo Heartbeat. Musica di Sir John Tavener, classica contemporanea, e voce di Björk. Una veste romantica per relazioni senza sintagmi tra corpo e voci, parole inesistenti che rivestono il silenzio facendolo vibrare di corde emozionali, in un abbraccio non virtuale su toni carezzanti e plumbei.
Bulgari abbaglia con i suoi carati innumerevoli ed i suoi zaffiri blu: Liz Taylor e la sua love story con Richard Burton, due acque mutevoli come i loro segni, pesci e scorpione, ed una passione che nei gioielli raffigurava la sua potenza. Karma delle pietre, a flotte, sul collo di Liz satoir lunghissimi con pendenti a chili, dardeggianti come il magma che li bruciò per due intere stagioni: due matrimoni durati mesi e intervallati da incresciosi ritorni di fiamme in eruzione, e affievolite soltanto da una pacata presa di coscienza, probabilmente, ma non è sicuro, provvidenziale.