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Un enigma caravaggesco. I Santi Quattro Coronati
Il dipinto raffigurante i Santi Quattro Coronati, ospitato fino al prossimo 8 maggio 2017 nella Galleria Spada nell’ambito dell’iniziativa “Ospiti della Spada”, è indubbiamente affascinante e allo stesso tempo enigmatico. Già attribuito a Caravaggio, è da un secolo oggetto di dibattito critico sia riguardo l’autore, sia riguardo la data di esecuzione che dovrebbe collocarsi tra il 1610 e il 1620. Per questo motivo il 21 marzo scorso si è tenuta una giornata di studio intitolata “Intorno ai Santi Quattro Coronati. Ipotesi a confronto”, durante la quale sono state argomentate le diverse tesi specialistiche che si sono concentrate, nel tempo, sul quadro.
La direttrice della Galleria Spada, Adriana Capriotti, ha illustrato l’iniziativa e la situazione della Galleria, che divide con il Consiglio di Stato gli spazi di uno dei più bei palazzi della nobiltà romana, ed è proprio il Consiglio di Stato che ha ospitato la giornata di studio nel Salone di Pompeo, cosiddetto da una gigantesca statua di età romana. La Galleria è un esempio superstite di quadreria sei-settecentesca, dove i dipinti, disposti in più file, si coniugano splendidamente con gli arredi, gli stucchi e le sculture antiche. I dipinti esposti nelle sale sono 199 e 80 sono fuori sala (di questi 60 sono nel Consiglio di Stato), per un totale di ca. 280 opere. Pertanto, togliere un dipinto per un prestito non è facile, ma allo stesso tempo uno scambio permette alla Galleria di attivarsi in maniera dinamica con un altro museo.
In questo caso l’Ospite della Galleria Spada è la tela con i Santi Quattro Coronati, conservata nel Museo di Roma in Palazzo Braschi. Il suggestivo dipinto, raffigurante i Santi nel momento che precede il martirio, dialoga con importanti pitture caravaggesche italiane e straniere conservate nella IV Sala della Galleria, occupando il posto del David con la testa di Golia, di Orazio Gentileschi, concesso in prestito alla mostra dedicata a sua figlia Artemisia a Palazzo Braschi.
La studiosa Alessandra Colucci ha illustrato le vicissitudini del dipinto, che in realtà appartiene all’Università dei Marmorari ed è in deposito nel Museo di Roma, dopo la sua asportazione dalla distrutta chiesa romana di Sant'Andrea in Vincis a Tor de’ Specchi, che era la sede dell’arciconfraternita dei Marmorari (subentrata nel 1623 alla chiesa di San Leonardo, pure scomparsa). Ricordiamo che i santi sono i patroni degli scalpellini, degli scultori e dei marmorari, perché, secondo una tradizione, avrebbero subito il martirio sotto Diocleziano per essersi rifiutati di scolpire una statua di Esculapio.
Dalla relazione della Colucci è emerso che l’opera fu spostata nel 1628 dall’oratorio annesso alla chiesa nell’altare maggiore e nell’occasione furono realizzate delle aggiunte laterali per adattarla al nuovo contesto. Ha parlato anche dei restauri, tra cui quello settecentesco (1781) che indica come autore della tela Caravaggio. Iscrizione apocrifa alla quale prestarono fede anche storici dell’arte del calibro di Lionello Venturi e Bernard Berenson. Dalle fotografie precedenti al restauro del 1969, si intravede che si tratta di una tela ridipinta, che doveva raffigurare in origine una Flagellazione, o una Incoronazione di spine.
L’ultimo restauro del 2003 non ha consentito di giungere ad un’identificazione dell’autore, che, come ha illustrato Pierluigi Carofano, gravita tra Orazio Riminaldi (autore del Martirio dei Santi Nereo e Achilleo della Galleria Corsini), Tommaso Salini, Antonio Galli, detto lo Spadarino, e il Maestro di Baranello. Lo studioso si sente di escludere Orazio Riminaldi, come pure lo Spadarino, e considera abbastanza fragili le altre attribuzioni, che, invece, sono state sostenute da Massimo Moretti, che pensa si tratti di un’opera di Tommaso Salini (parente acquisito del più noto Giovanni Baglione), e da Gianni Papi, che attribuisce la tela al Maestro di Baranello. Quest’ultimo è un pittore anonimo, al quale, secondo Papi, andrebbero attribuite altre opere che attualmente sono considerate di Salini.
Una novità emersa dalla giornata di studio, presieduta da Alessandro Zuccari, è la datazione, che Massimo Moretti sulla base di ricerche d’archivio restringe agli anni 1613-1615. Particolarmente interessante è stata la sequenza delle immagini, presentate dai relatori per un confronto diretto con il capolavoro in mostra. Un’opera che, come ha evidenziato Carofano, ci colpisce per la potenza emotiva dei corpi seminudi dei quattro santi, posti schiena contro schiena. Si tratta di un’immagine di culto che, secondo le parole dello studioso, “rappresenta corpi vivi e non idealizzati”, con una plasticità che potrebbe essere tipica di uno scultore-pittore, proprio perché i fruitori dell’opera erano scalpellini e scultori. Allo stesso tempo abbiamo a che fare con una rievocazione dotta di alta dottrina, con evidenti riferimenti al mondo classico nel particolare accostamento di due facce, che richiamano quelle di Giano bifronte.