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Festival del Cinema di Roma 2009. Vision e L'uomo che verrà. Tra Linea Gotica e visioni mistiche
Ci sono due film in Concorso per la Festa del Cinema di Roma che varrebbe la pena di vedere non appena escono al cinema: Vision di Margarethe Von Trotta e L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, al suo secondo lungometraggio (il primo è Il vento fa il suo giro del 2005).
Di Margarethe Von Trotta diremo solo che i suoi due penultimi film, Rosenstrasse (2002) e Die Andere Frau (L'altra donna, del 2004, con Barbara Sukowa anche qui), sono due capolavori: per intensità, coordinate storico-geografiche approfondite di fatti piuttosto sconosciuti sia in Italia sia in Germania. Vision è la storia di Hildegard Von Bingen (1098-1179), nata a Bingen in Germania nel 1098, mistica che ha fondato un suo proprio convento nel luogo dove visse San Rupert, e che fu prima di tutto una studiosa: di rimedi naturali quanto di cosmologia e musica. La sua mistica riguarda visioni di luce in cui ascoltava il richiamo di Dio per eseguire le azioni predestinatele.
Symphonia harmoniae celestium revelationum è il suo compendio musicale mentre la Lingua Ignota (ovvero dal latino “sconosciuta”) si annovera come una delle prime lingue artificiali. Fu una delle prime studiose di fitoterapia che applicava con successo dentro e fuori dal convento. Uno dei suoi primi protettori, insieme al fedele monaco Volmer che poii divenne il suo segretario e trascrisse tutte le sue visioni, fu Bernardo di Chiaravalle, che confermò la veridicità e la purezza delle visioni della Santa presso la Santa Sede.
A otto anni entrò nella Chiesa di Disibodenberg, come racconta Von Trotta insieme a Barbara Sukowa che recita nella parte di Hildegard da adulta 30 anni dopo, è da quel momento in poi, sotto la guida dell’anacoreta Jutta, che la Santa inizia ad avere fiducia nelle proprie visioni e le confessa come mandato di Dio. La regista stende una biografia filmica piuttosto lunga e sincera su Hildegard senza troppe drammaticità, direi di approccio ad uno studio più approfondito che potrebbe seguire. La fotografia e le riprese sono suggestive nel loro percorso narrativo della storia della Santa, le “visioni” ottundenti invece potevano essere maggiormente sottolineate.
L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, quasi completamente in dialetto bolognese, si svolge nel 1943 sulla famosa Linea Gotica: l’ultimo avanposto tedesco in Italia, si spera a futura memoria visto i tempi che corrono. Il punto di vista di una bambina, l’espressiva Martina interpretata da Greta Zuccheri Montanari, ci racconta una delle storie più feroci della Resistenza in Italia che termina il 29 settembre 1944 con la strage di civili inermi, soprannominata di Marzabotto, a Monte Sole. Tremila italiani, quasi tutti anziani, donne e bambini, furono uccisi a colpi di mitraglia e bombe a mano, davanti alle loro case, dentro le loro chiese dove avevano trovato rifugio. L’unico, sparuto gruppo della Resistenza della zona era comandata da Lupo e non era certo questo il motivo del massacro senza ragione del maggiore Walter Reder delle SS, condannato all’ergasotolo e poi graziato per intercessione del Governo austriaco, mentre i collaboratori repubblichini della strage hanno ottenuto l’amnistia.
Il codice del film di Diritti è il silenzio: il silenzio muto della bambina Martina come quello del padre (Claudio Casadio). Su una vallata sterminata di alberi fotografata da Roberto Cimatti, che disegna i plumbei interni insieme allo scenografo Giancarlo Basili, le ombre grigie della morte, della devastazione, del nulla e del vuoto accompagnano una bambina prima circondata costantemente da voci: quelle della mamma, dei parenti, degli ospiti di un casale di campagna accogliente e genuino, come ci si aspetta dalla gente del posto. Anche verso i nazisti occupanti. Ma quel nulla è una sensazione concreta, quanto la vita dei partigiani e dei contadini prima. Un disagio assoluto che mette a confronto con rigidità drammatica due visioni: il pieno e l’empio, il sapore con l’iniquità, il respiro vivace della brava gente con quello dissoluto di Madonna Morte, per gli italiani, per sé per tutti.