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Festival della Valle d'Itria. Aladino, magia tra Oriente ed Occidente
Il Festival della Valle d'Itria ha compiuto quest'anno 50 anni, quindi è in piena età adulta: un mezzo secolo che, a seconda di come lo si percepisce e lo si vive, può funzionare come un impulso ad andare avanti oppure a fermarsi. Mettendo in scena una favola come Aladino e la lampada magica di Nino Rota, datata 1968 al San Carlo di Napoli, a mio umile avviso ha inscenato il sogno, quello di riappropriarsi di quell'età cui gli adulti ogni tanto dovrebbero volgere lo sguardo, per ritemprarlo con l'innocenza di quella visione limpida.
Palazzo Ducale a Martina Franca ha accolto la prima del 27 luglio e poi le seguenti rappresentazioni del 30 luglio, ed accoglierà stasera quella del primo agosto e poi il 4 agosto prossimo. Un palcoscenico ondulato, su cui dalla parte opposta, vi è lo sfondo per Norma, accoglie il pubblico in una biblioteca di Babele; Leila Fteita è la curatrice delle scene e dei costumi per Aladino, supportata nel disegno luci da Pietro Sperduti.
In questa fiaba lirica, la musica è pienamente novecentesca con dei nostalgici rimandi alla musica russa di fine Ottocento, alla guisa di Rimskij-Korrsakoff - che tante fiabe ha tradotto in opere - e delle note ancestrali à la Strawinskij; un accento poi dalla Turandot di Puccini, per quelle note esotiche che dalla Cina ambientano Aladino in un'Arabia favolistica tratta da Le mille ed una notte. La musica è di certo molto godibile ed il direttore Francesco Lanzillotta l'ha pienamente sottolineato attraverso una puntualissima direzione dell'Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari. Il Coro del Petruzzelli era diretto da Marco Medved mentre il Coro di voci bianche della Fondazione Paolo Grassi da Angela Lacarbonara; presente anche la banda di palcoscenico, Banda Musicale della Città di Martina Franca “Armonie d’Itria”. Un'opera corale che sostanziava questa riscoperta di questa sorta di "lampada o pietra filosofale" di stampo cino-arabo.
Aladino è chiaramente una fiaba iniziatica, e lo rammenta il falso zio che riesce a fargli credere di essergli parente proprio perchè lui è una specie di adolescente sfaccendato che perde tempo a vincere al gioco facendo disperare la madre. Quest'ultima, vedova, non solo come afferma Nicola Scardicchio nel programma, rimanda a Iside, vedova di Osiride, a me personalmente rimanda a Parsifal, il puro folle wagneriano che ha una madre che si chiama Herzeleide, ovvero, "crepacuore, dolore del cuore". Aladino si perde in una caverna di tesori cercando la lampada magica che vuole il mago e falso zio; Parsifal cercherà il Graal; Aladino viene sedotto dalla principessa Badr-al-Budùr, Parsifal da Kundry cui però resiste, essendo un eroe pienamente cristiano ed il difensore della coppa del sangue di Cristo, ossia il Graal. Aladino è una sorta di eroe pagano, arabeggiante e che quindi ha diritto alla felicità sulla terra ed ai "dinari" che nella prospettiva orientale sono del "giusto".
Una lode alla regia di Rita Cosentino che ha "mosso" Aladino, i geni, lo zio mago, la vedova, in modo ironico e per la principessa ha steso un capolavoro di seduzione che, il soprano Claudia Urru ha reso in modo celestiale, un erotismo nelle movenze e nella voce di raffinatissimo percorso, un inoltrarsi nel labirinto dei sensi soffuso e attraente, tra le note ipnotiche di Nino Rota.
Il tenore Marco Ciaponi è un frizzante e cinetico Aladino, molto simpatico, soprattutto nelle scene con lo zio mago maghrebino, il bravo basso Filippo Romano, dalla voce piena e grande truffladino; fantastiche voci dala caverna dei tesori, il Genio della lampada, il basso Giovanni Accardi; ed il baritono Alexander Ilvakhin nel ruolo del Genio dell'anello.
Grande successo di pubblico con la platea piena che ha a lungo applaudito una fiaba esoterica ed esperenziale che unisce con la magia Oriente ed Occidente.