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Firenze. I nativi d'America del Gilcrease Museum
In occasione del quinto centenario della morte, a Siviglia, di Amerigo Vespucci, a Firenze, la città in cui nacque il 18 marzo del 1454, la Soprintendenza per il Polo Museale Fiorentino ha deciso di ricordarlo con una esposizione dedicata ai Nativi, abitanti di quel Continente, della cui esistenza per primo si rese conto e a cui per questo motivo, fu dato il nome di America.
L’esposizione, la prima in Europa per quantità e qualità di opere esposte, si avvale della preziosa ed indispensabile collaborazione con il Gilcrease Museum di Tulsa, in Oklahoma, nella persona del direttore Duane H. King. Il museo è tra i più importanti per la storia del continente nord-americano e possiede le più vaste collezioni, al mondo, di arte e artigianato della storia del West americano. Il museo fu fondato nel 1949 dal petroliere Thomas Gilcrease, per parte di madre appartenente alla nazione Muscogee (Creek), con lo scopo di conservare la testimonianze della cultura e della storia dei nativi della parte settentrionale del continente.
Herman J. Viola, esperto studioso dello Smithsonian Institution di Washington, istituzione che si occupa di arte, storia e scienza, a cui appartengono numerosi musei e tra questi anche quelli della storia e storia dell'arte americana, è curatore della mostra insieme a Robert B. Pickering . La mostra è molto interessante in quanto fornisce interessanti informazioni sui Nativi o Prime Nazioni del Nord America, conosciuti dai più solo attraverso la lente quasi sempre deformata dei film che, nella stragrande maggioranza dei casi, sposano unicamente le ragioni dei feroci e infidi conquistatori europei.
L'esposizione è articolata in due sezioni: nella prima nell'Andito degli Angiolini si trova la copia di un eccezionale documento la gigantesca carta geografica della Terra di Martin Waldseemüller. La mappa, denominata dal suo autore, Universalis cosmographia secunda Ptholemei traditionem et Americi Vespucci aliorum que lustrationes (“Rappresentazione dell’intera terra secondo la tradizione tolemaica e i viaggi di Amerigo Vespucci e altri”) del 1507. È basata, infatti, anche sulla lettera di Amerigo Vespucci, Mondus Novus, in cui l'esploratore fiorentino descrisse dettagliatamente i suoi controversi quattro viaggi in America, avvenuti tra il 1497 e il 1504 , e affermò che le nuove terre su cui era sbarcato Colombo appartenevano ad un continente fino allora sconosciuto (1503).
Questa carta è la testimonianza più antica in cui il nuovo continente fu chiamato America, proprio perché Vespucci fu il primo a rendersi conto che, non delle Indie si trattava, come Colombo continuò a pensare anche dopo le sue quattro spedizioni, ma di un nuovo continente. La carta fu stampata su 12 fogli separati e misura oltre cm 120x240, comprende: una carta intera del mondo, in cui il mondo è diviso in due emisferi: occidentale e orientale, ci sono illustrazioni di Tolomeo e Vespucci, immagini dei diversi venti e appunti dettagliati ed esplicativi su determinate aree del mondo.
Sempre in questa sezione ci sono informazioni e testimonianze storiche sulle popolazioni incontrate dagli europei, naturalmente quelle rimaste, in quanto di molte, soprattutto quelle appartenenti ai Nativi della costa orientale, che subirono per primi l'invasione europea, non rimane quasi nulla o molto poco. Nel corso dei secoli i Nativi furono uccisi, sterminati da nuove malattie come il vaiolo o decimati dagli stenti e dall'alcol generosamente fornito affinché non si ribellassero. Si pensa generalmente i Nativi fossero solo nomadi, invece ci sono preziose testimonianze che, nelle zone del continente il cui ambiente era favorevole, vissero popolazioni stanziali dedite all'agricoltura e organizzate in villaggi fortificati (sud est).
L'arrivo del cavallo, portato dai conquistatori, e la sua successiva diffusione tra il 1600 e il 1700 cambiò la vita degli abitanti delle praterie che da sedentari divennero nomadi e cominciarono a cacciare il bisonte. Ci sono ritratti a olio e fotografici di capi e membri di diverse tribù soprattutto di Edward Sheriff Curtis, che fu un celebre fotografo e antropologo, a lui si debbono importanti notizie etnografiche, che raccolse, iniziando nel 1900, per trenta anni, fotografando oltre ottanta tribù, dagli Inuit (Eschimesi) dell’estremo nord agli Hopi del sud-ovest, tra cui le foto i ritratti di personaggi importanti e famosi come: Geronimo, il Capotribù Joseph e Nuvola Rossa.
Nella Galleria del Costume sono soprattutto esposti oggetti provenienti da varie Prime Nazioni: i mitici “caschi piumati”, i copricapi di penne da cerimonia e da battaglia, vasi, armi, gioielli di varie forme e materiali, come collane di denti di bisonte e i famosi pettorali, realizzati con le ossa sempre di bisonte, abiti in pelle animale, splendidamente decorati con vivaci perline di vetro dai colori brillanti e così anche le scarpe, i celebri mocassini, culle, bambole e tamburi; non mancano i finimenti per i cavalli, anch'essi decorati.
In questa sezione sono esposti anche quadri della seconda metà dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, di pittori americani di formazione europea quali William Robinson Leigh, Joseph Henry Sharp, George Catlin, e fotografie che descrivono i grandiosi paesaggi incontaminati e le usanze dei Nativi e chiariscono l'uso degli oggetti. Il filmato, che apre la seconda sezione, ha un pessimo sonoro che rende incomprensibile l'inglese, non ci sono neanche i sottotitoli italiani a chiarire il senso della immagini: è un peccato vista l'importanza della mostra anche da un punto di vista didattico per le scuole.