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Firenze. I Signorini a Palazzo Antinori
Palazzo Antinori ospiterà fino al 10 novembre la mostra La Firenze di Giovanni e Telemaco Signorini ideata da Elisabetta Matteucci e Silvio Balloni. L'inaspettato recupero del carteggio inedito tra Telemaco Signorini, il padre Giovanni e il fratello minore Paolo ha dato impulso al progetto di questa esposizione che vuole mettere in luce il legame e il debito artistico con il padre, anche lui pittore, e Firenze.
Il progetto è nato in seno all'Istituto Matteucci, che da oltre quaranta anni si dedica alle attività di ricerca, studio, analisi e catalogazione della pittura italiana del XIX-XX secolo con particolare attenzione ai “Macchiaioli” e la sua realizzazione è stata resa possibile dalla sensibilità della famiglia Antinori. La famiglia Antinori, nel solco della secolare tradizione mecenatistica, che la contraddistingue, ospita la mostra negli splendidi saloni del Piano Nobile dell'avito Palazzo, gioiello archittettonico del Rinascimento fiorentino, una ambientazione che aggiunge un motivo in più di interesse a visitare l'esposizione.
L'abile disposizione delle opere in questi saloni ne favorisce la fruibilità e dà l'impressione di essere ospiti invitati a visitare una quadreria privata. La prima delle otto sezioni in cui è articolata la mostra, Una famiglia di artisti, inizia con il Ritratto in marmo di Carrara del capostipite Giovanni Signorini (1810-1862) eseguito da Giovanni Dupré (1817-1882), che lo mostra con i pennelli in mano consapevole del suo “status” di artista. Giovanni dopo inizi non felici all'Accademia, si dedicò allo studio assiduo copiando opere di paesaggisti come Claude Lorrain e Nicolas Poussin, affinando così la sua tecnica ed emergendo come uno dei maggiori interpreti del paesaggismo romantico nella Firenze di Leopoldo II di Lorena, tanto da essere soprannominato “il Canaletto fiorentino”. Ci sono anche Il ritratto da lui esguito del figlio Egisto (1832-1851), destinato alla stessa carriera del padre, ma prematuramente scomparso all'età di diciannove anni, e il ritratto a matita fatto da Egisto del fratello Telemaco (1835-1901) a circa undici anni di età. Telemaco pur iniziato alla pittura dal padre all'età di dieci anni era anche interessato agli studi letterari, ma alla morte del fratello decise di dedicarsi alla pittura seguendo l'insegnamento del padre, pur mantenendo un'attenzione partecipata ai fermenti intelletuali e sociali presenti nella sua città: L'Alzaia, La stanza della agitate a San Bonifazio e il Bagno penale a Portoferraio ne sono una eloquente testimonianza. Sono in esposizione anche due ritratti di Telemaco: uno giovanile di Vito D'ancona (1825 - 1884) e uno in età più matura di Edoardo Gelli (1852 - 1933).
Nella sezione Signorini nella Firenze del Granduca sono esposte le opere di Giovanni messe a confronto con un altro vedutista di pochi anni più anziano Giuseppe Gherardi (1788 – 1884) e in una progressione temporale per evidenziare l'evoluzione tecnica iniziando dalle due marine che ancora risentono dello studio nel copiare opere di artisti come Salvator Rosa, oltre a Lorrain e Poussin, attività allora remunerativa per le richieste provenienti dall'ambiente cosmopolita residente in Firenze. Il Berlingaccio, in mostra, è ultimo dei quadri realizzati per illustrare le feste cittadine, iniziato con i Fuochi d'artificio dal ponte della Carraia, che fu così apprezzato dal Granduca che gli valse le successive commissioni. I quadri in esposizione con diverse vedute dell'Arno mostrano l'evolversi della tecnica, nella composizione e nella luce, che successivamente si ispirò a quella di Canaletto e Bellotto. In questa sezione ci sono anche due deliziosi idilliaci dipinti ovali di Telemaco ( 1856 ca.) rimasti fino ad ora inediti: Panorama di Firenze dal colle di San Miniato e Veduta dell'Arno e di Santa Maria del Fiore dal Forte Belvedere, che testimoniano il passaggio dallo studio dei dipinti di paesaggio di Rubens e Ruysdael a una visione moderna della luce della pittura "en plein air".
Nella parte denominata Un Microcosmo fuori le mura sono esposte opere di Telemaco e dei suoi amici durante il soggiorno alla Piagentina per sfuggire ai cambiamenti di Firenze che dal 1865 divenne capitale d'Italia. Piagentina. Il ponte sul torrente Affrico (1861-2) e Una mattina sull'Arno (1868 ca.) rappresentano due momenti diversi, il primo è ancora connotato dai forti contrasti del chiaroscuro, il secondo, il successivo dal volgersi a toni più sfumati. Per Firenze il divenire capitale d'Italia comportò drastici cambiamenti e notevoli demolizioni: quelle delle mura con la creazione dei viali di Circonvallazione e delle piazze davanti alle porte, quasi tutte sopravvissute, oltre a quelle avvenute nel centro come quella del Mercato vecchio. Nella sezione da Città a Capitale, ricordiamo il dipinto di Fattori (1825 – 1908) Viale Principe Amedeo a Firenze e di Adolfo Tommasi (1851 – 1933) Piazza San Gallo a Firenze.
Un tema che ritorna nella affascinante e crepuscolare sezione La citta gioiello, la settima in ordine cronologico, in cui ci sono opere di Signorini e di altri che dipinsero vari scorci del centro in particolare quelli dell'antico Ghetto e il Mercato Vecchio, più volte ricorrente nei suoi dipinti per fissare sulla tela una testimonianza di ciò che sarebbe sparito per sempre. Sono dipinti eseguiti intorno al 1880 ricordiamo Il Ponte Vecchio a Firenze, Il Mercato Vecchio di Firenze e Via dei Cavalieri nel vecchio Ghettto di Firenze per la composizione, le rapide pennellate, i contrasti di luce, i colori che descrivono luoghi e persone che li animano e ci immettono nella vivacità della vita quotidiana di allora.Non possiamo fare a meno di ricordare che poco più tardi la stessa cosa avvenne a Roma, che fu stravolta in modo ancora più drastico con le stesse veementi, ma inascoltate, proteste degli intellettuali e delle comunità straniere. La stessa impellente necessità di lasciare una testimonianza è rappresentata dai quadri di Roma sparita di Ettore Roesler Franz, pittore naturalmente non paragonabile a Signorini, se non per la motivazione che lo spinse ad eseguire quei dipinti.
Tornando all'ordine cronologico della mostra la sezione Il salotto: Vita di società e anima mondana illustra l'ambiente elegante e aristocratico che Telemaco frequentò, dove era richiesto per la sua raffinata cultura e il suo spirito arguto, tra i dipinti in mostra ricordiamo il Ritratto di Maurizio Angeli che insieme a Signorini e Diego Martelli fondò il Gazzettino delle Arti e del disegno, Il piccolo amatore d'arte e Interno del salotto di casa Bracken. La sesta sezione intitolata La scoperta della luce è focalizzata nella pittura en plein air, facilitata dall'uso dei tubetti di colore in stagno che impedivano l'essiccazione dei colori, e dall'uso dello specchio nero o Claude glass. Questo strumento prese il nome da Lorrain, che per primo se ne avvalse, consente di decolorare l'immagine in bianco e nero al fine di scomporre lo spettro cromatico nel chiaroscuro, per calibrare con precisione l'incidenza luminosa e determinare la giusta sfumatura del colore. Signorini, come gli "Impressionisti" e primo fra i "Macchiaioli", lo adoperò costantemente nelle sue vedute è da notare la progressione di indagine della luce tra le opere in mostra da Una mattina di primavera. Il muro bianco (1866 ca.) a Stradina toscana con figura (1874).
Indagine non solo scientifico- positivista come in molti "Impressionisti" ma anche significativa di uno stato d'animo,come evidenzia l'ultima parte dell'esposizione Un giro di carrozza sui colli, in cui ci sono dipinti realizzati dalla fine degli anni '70 sui colli a Settignano, dove si ritirarono spesso, non solo i membri della società cosmopolita di Firenze, ma anche i "Macchiaioli". Tra i dipinti ricordiamo: Piazzetta di Settignano con la pioggia, Il rustico a Settignano, Stradina alla Capponcina e il Limite sull'Arno, in cui la separazione tra luce e ombra non è più netta ma più sfumata. Il catalogo, stampato per Marchesi Antinori S.p. A da Galli Thierry St-ampa, a cura di Elisabetta Matteucci e Silvio Balloni, è una guida preziosa arricchita, da ampi stralci del Carteggio dalle splendide riproduzioni a colori, non solo delle opere in mostra ma anche di altre citate per comprendere le linee guida dell'esposizione.