Supporta Gothic Network
I, Frankenstein. Azione in chiave gotica
In un universo gotico computerizzato si combatte l'eterna lotta fra il Bene e il Male, il cui ago della bilancia è un Frankenstein bello, sporco e karateka. Siamo alle soglie del videogame, e dunque ci divertiamo, con buona pace per gli amanti del classico di Mary Shelley. Il 23 gennaio è uscito nelle sale italiane I, Frankenstein, scritto e diretto dal regista australiano Stuart Beattie e basato sull'omonima graphic novel di Kevin Grevioux (anche co-sceneggiatore). Novanta minuti di sano intrattenimento intriso di atmosfere godibili, rutilanti scene d'azione e qualche abusato paradigma di genere.
La storia inizia laddove il romanzo finiva. La creatura del dottor Victor Frankenstein ha appena assistito alla morte del suo creatore fra le nevi polari, quando uno stuolo di demoni tenta di catturarlo. A salvarlo accorrono angelici Gargoyle: è l'inizio di una contesa che culminerà duecento anni più tardi (più o meno ai giorni nostri). “Adam” (Aaron Eckart) - così denominato dagli stessi Gargoyle - né mostro né uomo, ha in sé il segreto per ricreare la vita artificialmente. I demoni, guidati dal potente Naberius (Bill Nighy), vogliono servirsene per generare un esercito di corpi senz'anima in cui far rincarnare i dannati dell'inferno e conquistare il mondo sterminando la razza umana e i Gargoyle posti a proteggerla. Adam, alla ricerca della sua identità, sceglie di non schierarsi, fin quando l'incontro con la giovane e brillante elettrofisiologa Terra Wade (Yvonne Strahovski) gli darà una ragione per combattere.
Dai produttori di Underworld (2003), di cui emerge l'imprinting, I, Frankenstein si inserisce in quel filone action fantasy inaugurato da (l'ottimo) Blade di Stephen Norrington (1998) e caratterizzato dalla commistione fra settori molto diversificati della cultura pop contemporanea, sempre più legata al concetto di crossmedialità. Nel caso del film di Stuart Beattie affiorano immediatamente gli stilemi neogotici della moderna graphic novel, assieme a un'idea registica dalle molte (troppe) affinità con l'universo dei videogame e un racconto che attinge pretestuosamente personaggi dalla grande letteratura dell'800 per trasformali in guizzanti supereroi logorati da ombre interiori. Manca, in tutto ciò, un punto di vista originale, una lettura che possa essere, se non autoriale, quantomeno foriera di spunti di riflessione sull'attualità. I conflitti messi in campo rimbalzano sempre fra le quattro mura della banalità, senza mai regalare spiragli di significato, quasi a non voler indisporre il pubblico di riferimento.
Ma nonostante questo, I, Frankenstein ha dalla sua numerose qualità che lo elevano al di sopra di molti suoi consimili. Innanzi tutto l'atmosfera: una perfetta modulazione del gotico in chiave moderna, di cui è (splendida) immagine emblematica la cattedrale posta al centro della metropoli immaginaria in cui si svolge gran parte del film, ispirata alle geometrie urbane di Melbourne (città d'origine di Stuart Beattie). Di grande fascino anche il mondo dei Gargoyle, servi di Dio e custodi della Terra, tanto forti e stentorei quanto fragili di fronte a scelte difficili. Infine l'ottima interpretazione di Aaron Eckhart - dal perfetto physique du rôle - che regala al suo personaggio e al film quella pregevole dose di sfumature interiori che altrove mancano.
In definitiva, I, Frankenstein, pur nella sua quasi totale mancanza di ambizioni autoriali, centra il bersaglio dell'intrattenimento grazie ad un buon ritmo narrativo, un cast convincente (ottimo anche Bill Nighy) e una giusta miscela di azione e di atmosfere gotiche. Serviva forse un po' più di ironia e di alleggerimento comico, ma per un'ora e mezzo si rimane incollati allo schermo senza (quasi) mai sbirciare l'orologio.