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Galleria Berardi. Corrodi ed il viaggio nel paesaggio
Proseguendo nell’opera di riscoperta della migliore pittura dell’800, la Galleria Berardi in Corso Rinascimento mette in mostra alcuni spettacolari dipinti di Hermann Corrodi (Frascati, 23 luglio 1844 – Roma, 30 gennaio 1905). Eccellente pittore - appartenente alla schiera degli artisti di lingua tedesca, al tempo stesso viaggiatori e residenti a Roma – fu figlio del pittore svizzero Salomon Corrodi e studiò l’arte, con suo fratello Arnaldo, a Ginevra, sotto la guida di Alexandre van Muyden e di Alexandre Calame.
Viaggiò, oltre che in Italia, in Europa, in Africa e in Oriente e frequentò le corti di Parigi, Londra, Vienna, Berlino. A Roma fu all'Accademia di S. Luca, di cui sarebbe divenuto socio emerito nel 1893. Oltre che paesaggista del «grand tour», fu pittore «orientalista» e visitò la Siria, l'Egitto e altri Paesi dell'Europa mediterranea e del Medio Oriente dipingendo ovunque grandi panorami e squarci di vita locale.
La figurazione di Corrodi – accuratamente disegnata, ricca di personaggi e di colori, ariosa e aperta per ardite prospettive verso immensi cieli – offre immagini narranti che pongono i protagonisti, umani e animali, in un rapporto che è sia di sottomissione che di familiarità con l’ambiente e il paesaggio circostante. Richiama il vedutismo borghese di Francesco Lojacono, di Alessandro La Volpe, di Francesco Paolo Michetti, ma anche il simbolismo di Lawrence Alma Tadema e di Giulio Aristide Sartorio.
Ci si chiede quale sia stata la cifra estetica della pittura di Corrodi e a quale «gusto» del tempo abbia corrisposto? Si tratta di una pittura che non è ancora sovrastata dalla fotografia e dall’immagine seriale stampata, di una pittura che ha forti potenzialità di racconto e di fascinazione dello spettatore. Uno spettatore che è dotato di fantasia, al modo del lettore dei racconti e dei romanzi, e che condivide con il pittore lo sforzo immaginale che visualizza ciò che è sentito interiormente e che coglie significati reconditi in ciò che vede esteriormente.
La mostra alla Galleria Berardi illustra almeno due percorsi della pittura di Corrodi: il paesaggio italiano e il paesaggio medio orientale. Il paesaggio italiano è vissuto con sensibilità romantica: un impasto di naturalità e di classicità, ma anche di rovine e di vitalità. Gli italiani dell’’800 appaiono a Corrodi estranei abitatori di un mondo antico: ospiti silenziosi e, in parte, ignari dell’enorme retaggio che grava sulle loro spalle. Le figure umane che animano i paesaggi orientali sembrano, invece, a Corrodi ancora primitive: fuse con quel mondo, amalgamate con esso e con le sue metamorfosi.
Lo scrittore francese Pierre Loti - nel librino La Morte di File (1908), ristampato nella Biblioteca del Vascello a Roma nel 1993 – lamentava la sparizione progressiva del mondo egizio alla fine dell’Ottocento: sotto il colpi congiunti del colonialismo britannico e dell’industrializzazione. Nella pittura di Hermann Corrodi l’immagine del mondo consegnata alla pittura appare l’evocazione, appena intinta di nostalgia, di un passato che la società sta perdendo e che non è ancora divenuto paradossale oggetto di «conservazione».