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Galleria Borghese. Pietre della Meraviglia
Alla Galleria Borghese sarà visibile fino al 29 gennaio 2023 la mostra Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini. L’esposizione è dedicata alla pittura su pietra, una tecnica conosciuta già nell’antichità e citata da Plinio, ma fu il pittore veneziano Sebastiano Del Piombo (1485 – 1547) a riscoprirla già prima del Sacco di Roma del 1527.
Il successo di questa tecnica fu dovuto a vari fattori: la pietra fu considerata più durevole e più resistente alle devastazioni come dimostrava la scultura. Si potevano, inoltre, sfruttare le diverse caratteristiche del colore e delle venature delle varie pietre, una abilità di cui furono maestri Antonio Tempesta e Filippo Napoletano, oltre a questo ai diversi minerali potevano essere associati valori simbolici, che lo spettatore doveva decifrare o anche curativi o magici. Poi però ci si accorse delle fragilità della pietra che può crinarsi e spezzarsi, così la pratica verso la metà del ‘600 cominciò a declinare.
Sono 60 le opere in mostra, sia appartenenti alla Galleria, sia in prestito da importanti istituzioni, alcune di queste appartennero precedentemente alla collezione raccolta dal cardinale Scipione Borghese, nei primi tre decenni del Seicento e poi furono disperse. Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese, con questa mostra persevera meritoriamente nel richiamare l’attenzione dei visitatori sugli aspetti meno noti e meno appariscenti della collezione della Galleria. Alcune opere, infatti, erano nei depositi il loro restauro in occasione della mostra ha permesso di scoprirne e apprezzarne la fattura e la bellezza. Questa esposizione sfrutta ottimamente gli ambienti, sia la sala del pianterreno che le sale del primo piano, le opere esposte, infatti, dialogano benissimo con quelle della collezione permanente e sono mostrate in modo da poter essere fruibili e apprezzate dal visitatore grazie anche a una efficiente illuminazione.
A Roma la presenza di marmi pregiati nei monumenti imperiali fin dal medioevo aveva dato la possibilità di decorare pavimenti ed elementi architettonici avvalendosi della policromia di materiali diversi; i Cosmateschi sono un esempio paradigmatico. Nella sala di ingresso sono esposte alcune opere significative a cominciare dall’antico leone in alabastro, venduto insieme ad altri marmi colorati e statue dagli eredi dello scultore Giovanni Battista Della Porta ai Borghese. Sono in mostra straordinari esempi delle diverse utilizzazioni dei marmi degli artigiani capitolini: dal piano del Tavolo Borghese allo Stipo Borghese- Windsor, in origine appartenuto alla famiglia, probabilmente eseguito per il portoghese Luigi Gomez, in prestito dal Getty Museum, dall’Orologio notturno con Tanatos, le tre Moire e Ipno, proveniente dai dei Musei Capitolini, in cui il blu luminoso del lapislazzulo evoca il cielo notturno, all’Edicola reliquario con Adorazione dei Magi, dipinta a olio sull’ametista, sfruttandone lo sfondo violaceo per rendere il cielo.
La Madonna con Bambino e due angeli, un raffinato olio su lavagna, di Francesco Albani (Bologna, 1578–1660), allievo di grande rilievo di Annibale Carracci, dei Musei Capitolini, è in esposizione a ricordare le grandi pale di altare. Queste erano murate sulle pareti e quindi sono inamovibili, forse non così durature come allora pensavano, ma questa tecnica si è rivelata un efficace antifurto, che le ha preservate dalle razzie napoleoniche e da quelle successive; un esempio su tutti sono i dipinti di Rubens in Santa Maria in Vallicella a Roma. Sulla scelta del marmo in base al colore sono significative la stupefacente Allegoria del sonno di Alessandro Algardi (Bologna, 1598 - Roma, 1654) in marmo nero belga e le due Anfore con anse serpentiformi realizzate da Silvio Calci su disegno dell’Algardi.
L’esposizione prosegue al piano superiore dove sono esposte le immagini sacre dedicate alla devozione privata, i diversi pittori hanno usato la lavagna, sia lucidata, per riflettere l’immagine dello spettatore, che opaca, per evidenziare il soggetto rappresentato, ne sono un esempio le opere di Francesco Bassano (1549- 1592) Orazione nell’orto e Cristo deriso, e la Resurrezione di Lazzaro di Alessandro Turchi (1578-1649). La lavagna si prestava anche le scene notturne come L’incendio di una citta di Filippo Napoletano (1589-1629). Anche l’alabastro si rivelò una pietra adatta per la sua trasparenza e per le venature naturali della pietra, molti artisti lo usarono per queste peculiarità tra quelle in esposizione ricordiamo l’Adorazione dei magi di Antonio Tempesta (1555-1630) e l’Annunciazione di Orazio Gentileschi (1563-1639). La trasparenza dell’alabastro suggerì a Antonio Tempesta di utilizzare sia il recto della pietra, dove dipinse l’Annunciazione che il verso dove è effigiato Cristo appare alla madre, un espediente usato anche con l’agata, che ha caratteristiche simili all’alabastro, da Sigismondo Laire(15552/53-1639) con l’Annunciazione (recto) e La Resurrezione di Cristo (verso).
Antonio Tempesta e Filippo Napoletano furono tra i più creativi e fecondi in mostra stupiscono le loro opere su la pietra paesina, una varietà di calcare alberese, presente in tutto l'Appennino settentrionale. Per la provenienza più nota, viene chiamata anche "Pietra di Firenze", la sua struttura evoca raffigurazioni paesaggi e situazioni diverse. La caccia all’orso e La presa di Gerusalemme sono un esempio dell’abilità di Tempesta nello stupire lo spettatore per le soluzioni adottate. Lo stesso soggetto, Il passaggio del Mar Rosso, suggerì al Tempesta in un caso l’uso della pietra paesina, in un altro quello della breccia rossa per sfruttare in questo caso il colore del minerale. Il dipinto di Filippo Napoletano su pietra paesina, Ruggero libera Angelica dall’Orca, mostra come non furono solo i soggetti religiosi a interessare ma anche quelli letterari o mitologici, come il Perseo libera Andromeda, su pietra paesina, del Cavalier d’Arpino (1568- !640) e Perseo libera Andromeda (recto) e Venere e Adone (verso) di Tempesta dipinto su lapislazzulo, sfruttato per il colore blu intenso per raffigurare il cielo.
L’uso delle pietre si si rivolse anche alla realizzazione di soggetti esotici, come Un uccello, in questo caso il cardinale rosso proveniente dalla costa atlantica del nuovo mondo realizzato con le pietre dure L’uso del lapislazzulo come colore per la raffigurazione del cielo era già presente, ma polverizzato era impiegato sia negli affreschi come nel Giudizio universale di Michelangelo, sia nella pittura a olio su tela da vari pittori: uno per tutti Guido Reni. Il problema era che, provenendo dall’Afghanistan, era un materiale assai costoso, il lapislazzulo con le venature bianche, che evoca il cielo con le nuvole, usato per questi piccoli dipinti è il meno pregiato e costoso, Il riposo dopo la fuga in Egitto di Jacques Stella ne è un esempio.
Di Sebastiano del Piombo, l’inventore della tecnica della pittura su pietra, sono in mostra due ritratti: di Clemente VII e di Baccio Valori, la lavagna sostituisce il fondo scuro dipinto. Particolare è il ritratto su porfido di Cosimo I de’ Medici, attribuito ad Agnolo Bronzino (1503-1572), l’uso è celebrativo del potere, in quanto il porfido fu fin dall’antichità usato per Faraoni e imperatori. Tra i ritratti anche quelli celebrativi di un ideale simbolico bellezza di Leonardo Grazia (1502-1548) sono esposte tele in cui sono rappresentate Lucrezia e Cleopatra.
È una mostra con un tema insolito ma interessante e affascinante da non perdere, inoltre per chi fosse interessato oltre al catalogo a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini edito da Officina Libraria, è stata pubblicata una guida: Alla ricerca dell’Eternità. Dipingere sulla pietra e con la pietra a Roma. Itinerari, edita dalla stessa casa editrice sempre a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini.