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Il gioiellino con Toni Servillo. Il latte di Famiglia
L’ex assistente alla regia di Nanni Moretti, il regista Andrea Molaioli, che molto successo ha ottenuto con la sua opera prima, La ragazza del lago, torna a narrarci le ombre della provincia italiana con Il gioiellino, protagonista Toni Servillo e la vicenda Parmalat.
Per capire quanto lavoro e passione c’è dietro un prodotto cinematografico: lo staff, per questo film che si rifà al caso Parmalat, ha disegnato un marchio dell’azienda produttrice di latte, la Leda, acronimo di Latte E Derivati Alimentari – nome che richiama subito alla mente il biancore delle piume del cigno – e lo ha seguito nel suo evolversi nel tempo, inventando anche degli slogan pubblicitari: “Il buon latte italiano” e perfino un sito internet dove è visibile l'intera linea di prodotti.
Siamo portati ad ammirare la caparbia ostinazione del ragionier Ernesto Botta -Toni Servillo più equilibrato che mai nei panni di un Tonna tutto dedito al lavoro - che non ruba alla “sua” azienda, ma è disposto ad inventare qualsivoglia losco affare pur di salvarla.
E certamente il proprietario, Amanzio Rastelli, nella cronaca Calisto Tanzi - interpretato da un ottimo Remo Girone - è credibile nel suo ostentare grandi valori di progresso (oltre al prodotto, noi produciamo valori”), mentre in realtà il tutto si basa su accordi politici e mazzette sottobanco. Nel link relativo alla mission della Leda si può leggere, tra l’altro: "la nostra storia nasce dalla tradizione. Il nostro futuro poggia sull’innovazione. Il presente ci vede impegnati nella passione per la salute e il benessere nel totale rispetto della natura. La trasparenza è il fiore all’occhiello della gestione aziendale e dei processi produttivi. Scegliere Leda significa dunque scegliere il gusto per la genuinità."
Un cast ideale, con ogni attore perfettamente calato nella parte, dà sostegno ad una vicenda che giudicheremo inverosimile, se non fosse presa dalla cronaca.
Il regista ha voluto indagare i retroscena umani sottesi alla storia: la morale, diciamo molto elastica, che ciascun personaggio ha adattato al suo caso, come se non esistessero valori universali e degni dell’umanità o peggio ancora, ci fa meditare Andrea Molaioli, come se “lo fan tutti” fosse la regola perentoria da seguire e la panacea per le nostre coscienze. Esplicitamente così confessa di essersi comportata Laura Aliprandi, ad uno stupito ragionier Botta, col quale intesse una relazione che potrebbe essere interpretata come un riempitivo da cassetta e invece è episodio chiarificatore della mancanza di Umanità in questi personaggi purtroppo così realistici.
Da sottolineare l’interpretazione di Sarah Felberbaum che riesce a stare al passo del suo impegnativo partner, dipingendo Laura con un’angelica faccia tosta.
Non è un caso che chi decide di suicidarsi, dopo aver scoperto la vera posizione dell’azienda, è l’unico laureato del team, la persona più sensibile e cosciente, Filippo Magnaghi – l’attore Lino Guanciale, già ammirato Mozart in Io Don Giovanni del grande Carlos Saura, nonché in Vallanzasca. Gli angeli del male-.
L’ammirevole linearità del racconto potrebbe dispiacere ad un pubblico più pretenzioso, ma senz’altro sarà gradita a chi già ha giudicato favorevolmente l’opera prima.