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Henri Cartier-Bresson. La pregnanza della luce
Il titolo della mostra dedicata ad Henri Cartier-Bresson, ovvero Immagini e parole, dal 20 gennaio al 6 maggio 2012 a Roma negli spazi della Provincia di Palazzo Incontro, rimandano ad un connubio tra l'immagine e la sua narrativa, intesa ovviamente come storia che in un paesaggio, in uno scorcio, in un grattacielo ripreso dal basso, raccontano, rendendo visibile un imperscrutabile momento.
E “momento di pregnanza” o “momento pregnante”, ossia gravido di senso, è ciò che cattura Bresson (1908-2004) col suo obiettivo, sempre pronto a scattare catturando attimi indelebili della realtà, passando dall'umile frutta ritratta a Tvoli nel 1933: “un angolo di cuore” nelle parole del commento a cura del poeta Yves Bonnefoy. Ad ognuna delle 44 fotografie in bianco e nero in mostra è assegnato un commento di uno degli amici del fondatore della Magnum Photos insieme a Robert Capa (e Seymour, Rodger e Vandivert). Una stima che va ben oltre la foto, come quello di Saul Steinberg che afferma, a proposito di un disegno tratto da una foto scattata a Matisse nel 1944 mentre ritraeva una donna piuttosto florida: “La foto di Henry è viva mentre il mio disegno una natura morta”.
La felicità di Matisse che tanto invidiava Picasso che disse a proposito dopo aver saputo che l'artista era morto: “Maledizione! Io non riuscirò mai a dipingere la felicità come Matisse!”, diventa iconografia con le colombe in primo piano nello scatto in cui Cartier-Bresson lo riprende nel 1944, a Vence, in Francia. Tre colombe, libere con le gabbie tutte aperte, e Matisse in secondo piano a sinistra con una quarta colomba in mano: superlativo nella sua ripresa del caos nella stanza che, nonostante sia in subbuglio, continua ad apparire serena, come conferma anche Gombrich col suo commento.
I paesaggi aquilani sono una delle sublimi vedute di Bresson della nostra Italia prima che lo copiassero in ogni cartolina: la nebbia, l'uomo con vicino il cane, gli alberi con i rami secchi invernali, le case come avvolte in una nuvola e tutto estremamente pulito, in questo scatto del 1952 che Gae Aulenti trova intriso di “verità artistica”.
Un quadro affine a quest'ultimo lo trovo nel ritratto di un laghetto de l'Isle-sur-Sorgue, in Francia, nel 1988, quando Bresson aveva abbandonato la macchina già da quindici anni, eppure non potè fare a meno di eternare un'anatra sul ciglio dell'acqua, uno specchio che circondato da alberi mostra un sentiero. Un po' come gli uomini che guardano aldilà del Muro di Berlino nel 1963, e come un Giacometti sotto la pioggia con il bavero alzato per coprirsi indica percorrendolo: la direzione verso Henri, una luce che brilla e riprende il momento di vita, che fa sembrare una guglia l'Île de la Cité di Parigi (1952) e corre senza tempo dentro quell'unico barlume che la fa supporre in movimento.