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Hunger Games II. Fine della rivolta
A differenza dell'episodio precedente, Hunger Games Canto della Rivolta Parte II, questo secondo capitolo della trilogia dedicata a Katniss Everdeen alias la rivoluzionaria Ghiandaia imitratrice (dal nome dell'uccellino di cui riproduce il canto per inneggiare alla rivolta e di cui porta lo stemma), ci è sembrato piuttosto fiacco, e non per i protagonisti, che sono gli stessi, piuttosto per la storia. A cominciare dal ritorno di Peeta Mellark “condizionato” da Snow che, sulla linea borderline, oscilla tra amore e odio in una continua ambivalenza verso Katniss e tutta la squadra di rivoltosi.
In un sistema drammaturgico coerente, queste oscillazioni dovrebbero essere spiegate, perlomeno rese esplicite le motivazioni fisiche o psichiche che le rivelano, invece tutto rimane piuttosto fumoso. Un'altra cosa strana, “weird” direbbero gli inglesi, perché portarsi Peeta “condizionato e ambivalente” appresso durante le pericolose battaglie contro Snow e Capitol City? Di certo non li aiuterà a far aprire le porte di Capitol City a Snow. In tutto questo la parte di Plutarch Heavensbee, il compianto Philip Seymour Hoffman, è quella che mantiene una continuità logica con la precedente, insieme a Julianne Moore in quella di Alma Coin, l'inaffidabile capo dei rivoltosi che non ha mai del tutto convinto la nostra eroina.
Le ambivalenze naturalmente preesistono anche nel rapporto tra Katniss e Gale (Liam Hemsworth), innamorato di lei in un fantastico menage à trois senza un tradimento effettivo ma solo qualche “effetto collaterale” dato dall'aggressivo comportamento “condizionato” di Peeta.
Fondamentalmente, in quest'episodio, la parte migliore e meglio girata ce l'hanno le battaglie in Capitol City, i costumi fantasiosi à la Vievienne Westwood di Kurt and Bart ed i trucchi di Ve Neill. Grandi scene nei bassifondi con gli attacchi degli ibridi e a Capitol City per una particolare ondata di un liquido che appare come il petrolio ma evidentemente è ancora più micidiale per i nostri eroi.