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IUC. Atmosfere Belle Époque tra Lekeu e Franck
Il 28 febbraio 2015 la violinista svizzera Rachel Kolly d'Alba in duo con un altro musicista elvetico, il pianista Christian Chamorel, ha incantato l’Aula Magna dell’Università di Roma – Sapienza, con un repertorio della cosiddetta Belle Époque francese.
Il brano di esordio, forse il meno fruibile dal grande pubblico, è stata la Sonata in Sol Maggiore per pianoforte e violino di Guillaume Lekeu, - allievo di César Franck e stimato moltissimo dall’ipercritico Claude Debussy -, morto prematuramente a soli 24 anni. Scritta due anni prima, della morte, nel 1892, la sonata riprende da Franck il cosiddetto principio della ciclicità, per cui un tema principale, che compare all’inizio dell’opera, riappare poi in ognuno dei movimenti successivi.
La sonata è una sintesi tra un linguaggio cromatico (di derivazione wagneriana) e malinconico e momenti di passione energica, sottolineati da climax drammatici. Comincia con un tempo Très modéré, che la violinista e il pianista eseguono con sublime delicatezza; il tempo diventa poi Vif et passioné, con il violino che duetta quasi freneticamente con il pianoforte. Lo stesso Lekeu aveva suggerito che gli esecutori suonasser il secondo movimento, Très lent, nella forma di una melodia popolare, quasi in contrasto con il movimento precedente: bisogna dire che i due performers si sono attenuti solo in parte alle indicazioni del compositore, rimanendo entro uno stile molto classicheggiante. Il finale, Très animé, ha ripreso il tema iniziale, con veemente espressività.
Il dedicatario della sonata è il violinista belga Eugène Ysaÿe, di cui viene poi eseguita una delle Sei sonate per violino solo op. 27; queste sonate sono ispirate al modello bachiano delle Sei sonate e partire per violino solo, verso cui però il violinista del Novecento si pone in un rapporto dialettico, alla luce di due secoli di variazioni del linguaggio musicale, con tutta la lezione della scrittura violinistica da Paganini a Brahms, fino a Bartók. E non a caso ciascuna di queste sonate è dedicata a un compositore per violino del Novecento (ossia Joseph Szigeti, Jacques Thibaud, Georges Enescu, Fritz Kreisler, Mathieu Crickboom, Manuel Quiroga). Quella eseguita in quest’occasione è la terza, dedicata a Enescu, che ricambierà il favore dedicando a Ysaÿe la sua Sonata n. 2 per pianoforte e violino, la cui première vide al pianoforte nientemeno che Maurice Ravel. L’esecuzione della Kolly d’Alba è delicata e sottile, ma un po’ freddina.
Dopo l’intervallo, è la volta della celebre Sonata in la maggiore per pianoforte e violino di César Franck. La sua celebrità è legata soprattutto al fatto che a lungo si è creduto che fosse il prototipo della famosa Sonata di Vinteuil descritta da Marcel Proust nel primo volume della Recherche du temps perdu. In realtà, Proust scrisse in una lettera all’amico Antoine Bibesco dell’ottobre 1915 che la Sonata di Vinteuil non coincideva con quella Franck, ma semmai risentiva poliedricamente della Sonata per piano e violino di Saint-Saëns, di un Preludio di Wagner, della Sonata di Franck, e di una Ballata di Fauré.
Composta nel 1886, ma già prefigurata nel 1859, compendia il tipico linguaggio franco-teutonico di Franck, con una complessa armonizzazione cromatica, una densa scrittura contrappuntistica e una coesione formale di alto livello, garantita anche dalla struttura ciclica già menzionata a proposito di Lekeu.
L’Allegretto ben moderato in effetti presenta una conformazione melodica che agisce sui temi dei movimenti successivi: l’esecuzione del duo ci è sembrata allo stesso tempo precisa, rigorosa e appassionata. Dopo che il pianoforte ha intonato alcuni accordi, il violino introduce un tema oscillante, tra una scala ascendente e una discendente, che si staglia su un intervallo di terza: è notevole il fatto che la sonata esiste anche in trascrizione per violoncello e flauto traverso, che nulla tolgono alla sottile magia del tema iniziale, arrivando anzi in certe esecuzioni a conferirle maggiore eleganza. Eleganza che in questo caso è stata comunque trasfusa nel movimento dalla perfetta armonia che i due musicisti hanno profuso nella loro esecuzione.
Nell’Allegro molto del secondo tempo è il pianoforte che imprime alla Sonata il proprio ritmo decisivo, mentre nel terzo movimento, Recitativo-Fantasia: Ben moderato, il violino assume una cadenza quasi da cantilena, pregna di reminiscenze bachiane e comunque barocche, conferendo al brano un’atmosfera quasi da elegia classica. Nell’ultimo tempo, Allegretto poco mosso, troviamo di nuovo un procedimento di ascendenza bachiana, ossia un canone all'ottava fra il pianoforte e il violino, che realizzano un rondò alla francese con una perfetta tessitura contrappuntistica.
Il concerto si conclude poi con la Tzigane per violino e pianoforte di Maurice Ravel, dove, dopo una struggente introduzione per violino solo, il pianoforte dà vita a una serie di travolgenti variazioni concluse con uno spericolato finale.
C’è tempo anche per un doppio bis: il Ragtime di Giya Kancheli e l’Interlude du poème de l'amour et de la mer di Ernest Chausson.
Vale la pena comunque, per suggellare degnamente questo magnifico concerto, di citare un passo proustiano, che, quale che sia il vero modello della Sonata di Vinteuil, ben esprime l’essenza di questa musica: “Il campo aperto al musicista non è una meschina tastiera di sette note, ma una tastiera incommensurabile, ignota ancora quasi per intero, dove solo qua e là, divisi da folte tenebre inesplorate, alcuni fra i milioni di tasti che la compongono, esprimenti tenerezza, passione, coraggio, serenità, dissimili gli uni dagli altri come un universo da un altro universo, sono stati scoperti da qualche grande artista, che, risvegliando in noi il corrispondente del tema trovato, ci presta il servigio di mostrarci qual ricchezza, qual varietà nasconda, a nostra insaputa, la vasta notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima, da noi scambiata per vuoto e nulla" ("le champ ouvert au musicien n’est pas un clavier mesquin de sept notes, mais un clavier incommensurable, encore presque tout entier inconnu, où seulement çà et là, séparées par d’épaisses ténèbres inexplorées, quelques-unes des millions de touches de tendresse, de passion, de courage, de sérénité, qui le composent, chacune aussi différente des autres qu’un univers d’un autre univers, ont été découvertes par quelques grands artistes qui nous rendent le service, en éveillant en nous le correspondant du thème qu’ils ont trouvé, de nous montrer quelle richesse, quelle variété, cache à notre insu cette grande nuit impénétrée et décourageante de notre âme que nous prenons pour du vide et pour du néant") (Marcel Proust, La strada di Swann, trad. it. di Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, 1967, p. 373).