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Kokocinski a Palazzo Cipolla. Il Sogno di Petruška
Chi mai abbia pensato che il clown sia felice non va aldilà della maschera: tutti sanno che la natura del clown è melanconica, struggente, e che i suoi sorrisi sgorgano dalle lacrime di una luna sormontata da un Pierrot rifulgente, e imparentato con Pulcinella. Kokocinski sa di dover rappresentare quella “mediatrice tra noi e il vuoto insondabile celato” nella sua arte in mostra a Palazzo Cipolla nel Museo della Fondazione Roma fino al primo di novembre, data simbolica dove la vita e la morte si incontrano come gli psicopompi narrati dalle sue maschere, in un dialogo forzato nel sorriso amaro e onirico da Pulcinella al clown.
A cura di Paola Goretti e con un affetto particolare da parte del Presidente della Fondazione Roma Emmanuele Francesco Maria Emanuele, la mostra di Alessandro Kokocinski si snoda per un percorso narrativo che parte da un'Arena di lotta tra clown e illusioni (Cercando l'illusione, 2012), clown, sogni e angeli (Sogno di un angelo in riposo, 2013); il clown e la luna con un'ombra di cui non s'accorge (Scendo vestito di luna, 2013) e l'aspirazione al volo tra le stelle (Volò tra le stelle, 2013). Dietro di loro però s'agita quasi sempre un ombra funesta, un minotauro come succede al clown-ballerina preoccupato in Prigioniero di questo giardino dolente, ombra solitaria (2013): come gli altri di cartapesta dipinta, un volto che esce fuori dal quadro per immergersi nella realtà o chiederle aiuto.
Con Pulcinella entriamo nel vivo della tragedia: con la sua maschera macabra e sardonica, ci aspetta l'Olocausto del clown tragico (2003-2013), che ha affisso una maschera tragica sul volto di Cristo crocifisso e Pulcinella è lì davanti impossibilitato a muoversi, vestito sembra, con una camicia di forza. Le sculture delle maschere della tragedia sono tutte in bianco, nero e rosso, senza intermediazioni di colore tranne quella delle loro maschere brunite. Attorniate dai busti di Grock (1880-1959), il clown svizzero più famoso del mondo che ha vissuto ad Imperia dove c'è ed è visitabile Villa Grock, il Museo del Clown, questa è la sala più pregna di archetipi: da Pulcinella al clown il passo è breve, tutte maschere tristi, nostalgiche, come quella di Petruska nella sala seguente, e tutte imparentate con l'originario Zanni della Commedia dell'Arte dal quale derivano. Puclinella poi è psicopompo, colui che mette in comunicazione i vivi coi morti. La tristezza è però sollevata dalla dea Vittoria del bronzo alato che guarda la luna nell'azzurrità del cielo di Come la mia notte spogliata delle stelle (2012), e di nuovo guardiamo verso un orizzonte al chiaro di luna come Pierrot.
Le origini russe di questo artista apolide, vissuto in Argentina ed in Cile negli anni bui e scappato nel 1971 – il quadro terribile Yo quiero a la Argentina, y Ud (1977), che rappresenta un generale col volto deformato come i quadri della Quinta del Sordo di Goya, ci fa rabbrividire - battono palpiti con Petrushka e lui rappresenta la ballerina che è l'innamorata di Petruska, intitolandola Nel cuore di Petruska (1914), surmontata sulla testa da un piccolo clown, che ci sembra suoni le note di Strawinsky nell'omonimo balletto. E allora ci viene in mente un altro russo, Andreev (Leonid Nikolaevič Andreev, 1871-1919), che ha messo un clown al centro del suo dramma, Quello che prende gli schiaffi (1915), dove il clown è una sorta di angelo che non solo prende gli schiaffi da quel mondo dal quale è fuggito, ma è un uomo che nella sua poesia non ha smesso “di ribellarsi all'ingiustizia" e di credere ai sogni alati delle stelle. Esattamente come gli angeli azzurrini di Kokocinski, ribellatisi al mondo tragico delle maschere ed in cerca di nuove stelle su cui adagiare i loro sempiterni sogni.