L'arte sacra di Manzù a Castel Sant'Angelo e ad Ardea con Fontana

Articolo di: 
Nica Fiori
Cardinale

L’inaugurazione nel 1964 nella Basilica di San Pietro della Porta della Morte di Giacomo Manzù segna una data importante per la storia dell’arte italiana del Novecento e consacra lo scultore bergamasco, amico di papa Roncalli, come grande artefice di arte sacra. Ma già molto prima il maestro aveva maturato una notevole capacità espressiva nell’umanizzare l’arte religiosa. La grande mostra intitolata “Manzù. Dialoghi sulla spiritualità, con Lucio Fontana” approfondisce la conoscenza del rapporto del “comunista” Manzù con i temi sacri a Castel Sant’Angelo e prosegue nel museo Giacomo Manzù di Ardea in un confronto diretto con Lucio Fontana.

Una mostra in due sedi, quindi, relativa a due artisti molto diversi tra loro, ma accomunati dalla stessa ricerca sulla spiritualità all’indomani del secondo dopoguerra. Come ha precisato la direttrice del Polo museale del Lazio, Edith Gabrielli, il castello romano, che vanta un numero altissimo di visitatori, non schiaccia col suo gigantismo il museo di Ardea, ma collabora con questo per ottenere un risultato soddisfacente, ovvero una mostra su misura, funzionale ai luoghi che la ospitano.

Nel Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, già dimora papale, l’esposizione si apre con un Crocifisso, eseguito nel 1937, che testimonia come Manzù traducesse all’epoca le iconografie dei maestri rinascimentali con partecipe umanità, sensazione confermata dal Cardinale e dal David (un bambino nudo accovacciato), ambedue esposti alla Quadriennale del 1939, e dalle formelle con la Crocifissione e la Deposizione dalla Croce, che, esposte a Milano nel 1941, suscitarono nelle gerarchie ecclesiastiche forti dissensi, soprattutto per i corpi nudi, e furono invece definite da Giulio Carlo Arganle sole opere religiose del nostro tempo”.

A questa prima sezione, intitolata “la via del realismo”, segue “Nobilitare la realtà”, dove troviamo l’unica opera in mostra non religiosa, ovvero il grande Ritratto di signora. La statua raffigura Alice Lampugnani, una nobildonna milanese che collezionava le opere di Manzù, resa con modellato vibrante e astrazione formale, che si riflette anche nelle altre opere della stessa sezione, tra cui due varianti dei gruppi in bronzo delle ultime stazioni della Via Crucis per la basilica di Sant’Eugenio a Roma, realizzate nel 1950.

Seguono nella splendida sala dell’Apollo le solenni figure dei Cardinali, dai quali, evidentemente, Manzù era fortemente attratto, a giudicare dalle sue parole: “La prima volta che vidi i cardinali fu in San Pietro nel 1934: mi impressionarono per le loro masse rigide, immobili eppure vibranti di spiritualità compressa. Li vedevo come tante statue… e l’impulso a creare nella scultura una mia versione di quella realtà ineffabile fu irresistibile”. Di questa serie ci colpisce la forma piramidale dei corpi col copricapo a punta e il mantello dal quale fuoriescono solo i piedi e una mano, tranne che nel Cardinale Giacomo Lercaro, del 1953, il cui mantello impenetrabile racchiude tutto. Sono figure bronzee monumentali, maestose, ma allo stesso tempo caratterizzate da un sentimento antiretorico. In quelle forme estremamente esemplificate sembra di cogliere una precisa concezione artistica, ovvero la trasformazione dei blocchi massicci di materia greve e opaca in sembianze di persone.

L’itinerario prosegue con un settore dedicato alle porte, dai disegni per il concorso della Porta di San Pietro ai bozzetti per la Porta dell’Amore della Cattedrale di Salisburgo, e per quella della Pace e della Guerra di Rotterdam. Vediamo come in questo caso nei due pannelli raffiguranti la Pace e la Guerra il panneggio diventa corposo ed è appeso a nascondere l’impugnatura che apre i due battenti, costituendo il nesso visivo tra le due parti. Sono esposti inoltre due dei vetri dorati incisi per la Cappella della Pace per Mons. Giuseppe De Luca, l’amico che lo aveva sostenuto nelle difficili relazioni con le alte gerarchie del Vaticano. Queste opere del 1961 traducono con austera solennità i temi antichi di Cristo deposto e Maria e Giovanni a testimonianza di una condivisione con l’amico, se non di fede, certo di sofferta spiritualità.

Il confronto con Lucio Fontana si ha nel museo Giacomo Manzù di Ardea (in via Laurentina, km 32, ingresso gratuito), dove ammiriamo tra l’altro tante opere di Manzù dai contenuti laici, spesso gioiosi. Così come Manzù partecipò nel 1949 al concorso per la Porta di San Pietro in Vaticano, Fontana partecipò nel 1950 a quello per la V Porta del Duomo di Milano. Gli anni immediatamente successivi alla II guerra mondiale vedono, in effetti, entrambi gli artisti interrogarsi sull’arte sacra. Di Lucio Fontana sono esposte trenta opere tra disegni e sculture. Molto significativo è per Fontana, a partire già dalle prime prove degli anni ‘20 e ‘30 del Novecento, il rapporto tra scultura e architettura, tra opera e spazio, per esempio nel contesto della scultura funeraria per il Cimitero monumentale di Milano. Nel 1949 realizza con l’architetto Renzo Zavanella la tomba Chinelli, della quale è esposto il modellino in gesso: un’immagine che fa pensare “non tanto al corpo sepolto, bensì all’anima liberata”, secondo un commento dell’epoca.

Sembrano quasi un omaggio al barocco le ceramiche di Fontana, volutamente ruvide e non finite, ma sfavillanti di smalto. Quelle che vediamo esposte riproducono soprattutto Crocifissioni con drappeggi barocchi e lampi d’oro. Ma indubbiamente i pezzi più significativi della mostra sono quelli riguardanti il concorso per la V porta del Duomo di Milano. Il tema del concorso del 1950, scelto dal cardinale Schuster, era “Origini e vicende della cattedrale”. Per Fontana quel progetto dall’alto valore simbolico era l’occasione per confrontarsi con una committenza ecclesiastica, ma l’assegnazione si sarebbe trascinata attraverso due gradi di concorso nel 1951 e nel 1952 per giungere al conferimento del primo premio ex aequo a Lucio Fontana e Luciano Minguzzi il 28 maggio 1952.

Un nulla di fatto che si sarebbe concluso solo nel ‘58 quando Fontana si ritirò e la porta venne affidata a Minguzzi. In mostra troviamo il modello d’insieme per il concorso in primo grado (qui nella versione postuma in bronzo) e quello con la suddivisione in comparti, di cui viene esposta una seconda variante elaborata tra il ‘52 e il ‘58. Sono esposte pure le formelle presentate al concorso di secondo grado, raffiguranti il Bombardamento di Milano, il Frate, il Nobile e il Cavaliere, che mostrano come Fontana interpreta il tema della Porta in chiave civile e contemporanea, elaborando una nuova concezione formale e concettuale che trasforma il fluire della storia in una evidenza unitaria.

Pubblicato in: 
GN7 Anno IX 16 dicembre 2016
Scheda
Titolo completo: 

Manzù. Dialoghi sulla spiritualità, con Lucio Fontana

Mostra a cura di Barbara Cinelli con Davide Colombo
Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, Roma
Orario: 9-19,30
Museo Giacomo Manzù, Ardea
Orario: 9-19,30 8 dicembre 2016 – 5 marzo 2017