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L'Orchestra Neue Philharmonie München alla IUC. La cifra stilistica dell'Adagio
Lunedì 20 giugno 2011 alle 20.30 si è svolto il concerto conclusivo della IUC-Istituzione Universitaria dei Concerti, presso l'Aula Magna della Sapienza Università di Roma. Si è trattato in realtà di un concerto straordinario, che ha visto per la prima volta esibirsi a Roma l'orchestra Neue Philharmonie München sotto la direzione di Yoel Gamzou.
Si tratta di uno degli ensemble musicali giovanili più importanti d’Europa, benché fondato solo nel 2005 nella capitale bavarese. I giovanissimi musicisti (sono 80 persone tra gli 11 e i 25 anni), selezionati per il talento e le capacità esecutive, hanno tenuto concerti in varie nazioni europee, segnatamente in Francia, Italia e Lussemburgo, oltre che in Germania. Con il debutto nel 2010 a Berlino e nel 2011 a Roma, l’orchestra segna due importanti tappe della sua carriera, grazie anche al suo Direttore Principale, l'americano di origini israeliane Yoel Gamzou, allievo di Winston Dan Vogel, Piero Bellugi e Carlo Maria Giulini.
Il concerto prevede tre pezzi del repertorio sinfonico classico (l’Adagietto della Sinfonia n. 5 di Gustav Mahler, il Concerto per clarinetto e orchestra in la maggiore KV 622 di Wolfgang Amadeus Mozart e la Sinfonia n. 3 "Scozzese“ in la minore op. 56 di Felix Mendelssohn Bartholdy).
La cifra stilistica che accomuna i tre brani è il tempo dell’Adagio, che scandisce una sorta di serenità interiore del compositore, preludendo però a sviluppi ulteriori in cui assistiamo allo scatenarsi delle passioni.
Composta tra il 1901 e il 1902 e diretta da Mahler a Colonia nel 1904, la Quinta Sinfonia in do diesis minore vide la versione definitiva nel 1911. Si tratta di una sinfonia che segna un punto di svolta per il maggiore rigore strutturale rispetto alle precedenti e per una densità strumentale che fa quasi parlare di linguaggio polifonico.
L’Adagietto per soli archi e arpa appare quasi una romanza senza parole, di tradizione beethoveniana. Come altre pagine strumentali caratterizzate da una soffusa malinconia (ad esempio l’Adagio per archi di Samuel Barber o il Cantus in Memoriam Benjamin Britten di Arvo Pärt o Metamorphosen di Richard Strauss), anche questo brano di Mahler si presta particolarmente a commentare scene cinematografiche e non a caso venne usato da Luchino Visconti nel film (tratto dall'omonimo romanzo breve di Thomas Mann) Morte a Venezia, per sottolineare le scene più significative in cui compare il compositore Gustav von Aschenbach.
Il filosofo e musicologo Theodor W. Adorno parlò a proposito dell’Adagietto di “figurazione dell’epodo” (nel senso del refrain): intende con ciò dire che Mahler può inventare melodie di carattere conclusivo, che rappresentano i temi fondamentali della forma-sonata. Dal punto di vista tecnico, queste proprietà sono esemplificate nell’intervallo di seconda discendente, che riproduce la curva intonativa della voce umana, con la malinconia di chi, parlando, abbassa la voce sulle terminazioni delle parole. Nell’Adagietto le seconde discendenti sono numerose già nella sezione che precede l’epodo, ma acquistano un valore particolare nel corso dell’epodo stesso per via dell’amplificazione a cui vanno soggette.
Yoel Gamzou dirige l’Adagietto in modo singolare, flettendosi e agitandosi nel rincorrere la partitura, assumendo movenze a tratti quasi vorticose e a tratti ripiegandosi su sé stesso, come le vele di un vascello gonfiate dal vento. Sebbene eseguito isolatamente dal resto della Sinfonia l’Adagietto perda, per così dire, il suo “valore di posizione”, è indiscutibile che si tratti di un brano di grande fascino, che non ha mancato di impressionare il pubblico presente in sala e di predisporlo favorevolmente al brano successivo.
Si passa quindi al Concerto per clarinetto e orchestra di Mozart, scritto nel 1791 per il clarinettista Anton Stadler (è l’ultima opera puramente strumentale di Mozart, ultimata poco prima della sua morte), e composto da tre movimenti.
Il primo movimento (Allegro) si apre con l’orchestra che esegue il tema principale, subito ripreso dal solista, il bravissimo francese Lionel Wartelle, che traduce perfettamente la malinconia di questa musica. Il movimento si conclude con una tonalità di allegro in la maggiore, tipica del classicismo viennese.
Il secondo movimento (Adagio), è scritto in forma ternaria (cioè ABA). È forse il più celebre dei tre movimenti, grazie all’utilizzo che ne fece il regista Sidney Pollack nella trasposizione cinematografica del film Out of Africa, tratto dall’omonimo romanzo di Karen Blixen). Si apre con il solista che intona il tema principale seguito subito dopo dalla sua ripetizione da parte del’orchestra. Lo sviluppo successivo valorizza i fiati, soprattutto i registri di tromba, e il movimento si conclude con una cadenza che riprende il motivo di apertura.
Il terzo movimento (Rondò – Allegro) si presenta come una sorta di mescolanza del rondò con la forma sonata. Il ritornello è impostato sul tema dell’Allegro, ma alcune parti richiamano anche i colori più scuri del primo movimento, fino a ricordare un brano celeberrimo come il Concerto per pianoforte in la maggiore K. 488.
Dopo l’intervallo, l’ultimo brano è la Sinfonia n. 3 in la minore Op. 56, detta la “Scozzese”, di Felix Mendelssohn. La sinfonia fu completata nel gennaio del 1842, benché lo spunto fosse offerto al compositore da un viaggio in Iscozia compiuto nel 1829, quando visitò i luoghi storici legati a Maria Stuart.
Il primo tempo (Andante con moto - Allegro Un poco agitato) alterna una prima parte caratterizzata da una certa maestosa solennità con un Allegro marcato da più forti contrasti cromatici. Segue un secondo tempo (Vivace non troppo) con gli strumenti che intrecciano melodie in parte di sapore mozartiano, ma che evocano anche temi del folk scozzese e ricordano per altri versi le musiche di scena di A Midsummer’s Night Dream dello stesso Mendelssohn.
L’Adagio segna il culmine della sinfonia: comincia con una melodia in forma di Lied che viene accompagnata dal pizzicato degli archi; si passa poi a un altro motivo in fa minore, dove i fiati diventano preponderanti. È una melodia mesta e malinconica, che echeggia l’Allegretto della Settima sinfonia di Beethoven (e che quasi anticipa l’Adagietto di Mahler). L’ultimo tempo (Allegro vivacissimo - Allegro maestoso assai) comincia con un’esplosione di energia ritmica per poi culminare quasi in un inno.
L’orchestra viene salutata da scroscianti applausi, che la inducono a concedere un breve bis, in cui il direttore chiama alcuni degli orchestrali a esibirsi in un esercizio di puro virtuosismo, che suggella degnamente questa visita romana dell’orchestra bavarese.