Supporta Gothic Network
Mahler, Liszt, Verdi. Una triade romantica a Santa Cecilia
Il programma che il 15 marzo 2011 ha visto sul podio Antonio Pappano, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia all'Auditorium Parco della Musica di Roma, rappresenta l’epitome di tre diverse sensibilità romantiche: quella italiana, quasi nazional-popolare, con Giuseppe Verdi, quella austro-ungherese, con proiezione verso il mondo slavo, con Franz Liszt, e quella austro-boema, con anticipazione della musica del Novecento, con Gustav Mahler.
La prima composizione è la Sinfonia dell’Aida di Giuseppe Verdi. Come ha scritto Quirino Principe, il brano derivò dal progetto di “sostituire il meraviglioso Preludio, che ogni volta ci affascina prima dell'apertura di sipario, con una Sinfonia”. Ma la decisione fu revocata dal compositore stesso dopo una prova generale a Milano nel gennaio 1872.
In realtà, la Sinfonia risulta più varia e rappresentativa del Preludio, che usa tre temi (il quasi-Leitmotiv che identifica Aida, il tema della gelosia di Amneris, scandito dai violini e dai fiati, e il motivo a canone che dipinge in modo plastico, con l’apporto determinante di tromboni e contrabbassi, l’efferatezza dei sacerdoti): in essa non solo sono presenti questi tre temi, ma se ne aggiungono altri tratti dall’opera, come il motivo “Numi, pietà!” e il tema in 6/8 in cui Radames sembra quasi anticipare la propria condanna a morte.
Il tutto però viene condito con un’atmosfera di fanfara, resa in modo alquanto magniloquente dall’orchestra, che rende la Sinfonia davvero tipica di un certo romanticismo italiano. E probabilmente lo stesso Verdi, allorché decise di rinunciare alla Sinfonia nella versione definitiva dell’opera, si era reso conto dell’effetto pot-pourri che questa combinazione di temi avrebbe prodotto nell’ascoltatore, rovinando la delicata e soffusa ambiguità evocativa che i singoli temi avrebbero dovuto rispecchiare quando inseriti nel contesto dell’opera.
Con un certo effetto scenografico, dopo una brevissima pausa, viene introdotto il pianoforte sul palcoscenico; subito dopo fa il suo ingresso il pianista russo Boris Berezovsky, che senza indugi attacca il primo movimento del Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in mi bemolle maggiore di Franz Liszt.
Si tratta di un vero gioiello di sintesi tra il virtuosismo pianistico in cui il compositore ungherese eccelleva e un cromatismo orchestrale derivante dalla tradizione romantica europea (circostanza sottolineata dal fatto che la première del concerto a Weimar nel 1855 ebbe come direttore d’eccezione Hector Berlioz); il tutto sintetizzato in poco più di un quarto d’ora, con quattro tempi che scorrono senza soluzione di continuità. Non a caso Béla Bartók scrisse che si trattava della “prima realizzazione perfetta della forma sonata ciclica, con temi comuni che vengono trattati in base al principio di variazione”.
Berezovsky dà al primo movimento (Allegro maestoso) un piglio particolarmente dinamico e impetuoso, scolpendo il motivo, che viene variato e riproposto più volte, senza esitazioni. L’orchestra fa da contrappunto in modo altrettanto potente, fino a dialogare con il pianoforte che si produce in scale di quattro ottave e in un duetto più calmo con il clarinetto.
Il secondo movimento, breve e denso (Quasi adagio), è introdotto da violoncelli e contrabbassi con un andamento cantabile, superato subito dopo da tutti gli archi; il pianoforte amplifica il motivo iniziale trasformandolo quasi in un soffuso notturno. Orchestra e pianoforte raggiungono una climax con un fortissimo, attenuato però da una scala discendente dove si nota un virtuoso diminuendo.
Il terzo movimento (Allegretto vivace - Allegro animato) comincia con alcuni rintocchi di triangolo, seguiti dagli archi che simulano una sorta di quartetto, con movenze quasi da classicismo viennese (sembra di sentire la Sinfonia dei giocattoli, attribuita a Leopold Mozart, ma con toni che anticipano Maurice Ravel), riprese sapientemente dal pianoforte che le combina con i temi iniziali, per poi finire con un’impetuosa sequenza di accordi in fa minore.
Il concerto si conclude con il rapido quarto movimento (Allegro animato – Marziale), dove il pianoforte introduce una vertiginosa scala discendente in mi bemolle su cui si inserisce l’intera orchestra che riprende il tema del precedente movimento, finché, in un tripudio finale, tutti i temi vengono combinati e il pianista si esibisce in un esercizio di virtuosità poliritmica.
Gli scroscianti applausi inducono Berezovsky a concedere ben due bis, ossia Asturias di Isaac Albéniz e la Prima danza ungherese di Johannes Brahms. Va detto comunque che il Liszt che il pianista ci ha proposto era fortemente innervato dallo spirito russo, al punto che in certi passaggi ci è sembrato di ascoltare quasi una composizione di Sergej Rachmaninov, con un’esuberanza che ci ha fatto per altri versi pensare al film Lisztomania di Ken Russell (interpretato dal cantante degli Who Roger Daltrey e con la colonna sonora costituita da composizioni di Liszt e Wagner riarrangiate da Rick Wakeman).
La seconda parte del concerto è stata interamente dedicata alla Sinfonia N. 1 in Re maggiore, “Il Titano” (titolo derivante dall’originaria intenzione di scrivere una sorta di poema sinfonico basato liberamente sul romanzo Titan di Jean Paul, una sorta di Bildungsroman molto critico verso la cultura del romanticismo), di Gustav Mahler.
Già in quest’opera si avverte la capacità di Mahler di rendere la spiritualità profonda dell’essere in un vestito sensibile, con precisione e inflessibilità, in modo tale che la sua scrittura già predelinea ogni possibile interpretazione.
L’opera fu composta tra il 1884 e il 1888, nel periodo in cui Mahler ricoprì la carica di secondo direttore all'Opera di Lipsia. La première ebbe luogo al Teatro dell’Opera di Budapest, di cui il compositore boemo era stato da poco nominato direttore, il 20 novembre del 1889: si trattava di una versione non ancora definitiva, che aveva addirittura come sottotitolo "Poema sinfonico in due parti”. Un relativo scarso successo lo indusse a revisionare la sinfonia, che venne riproposta ad Amburgo nel 1893 e a Berlino nel 1896, in una versione in cui venne eliminato l'Andante “Blumine” originariamente inserito come secondo tempo e pienamente riscoperto solo nel 1966 (Benjamin Britten ne diresse una memorabile esecuzione nel 1967).
Il primo movimento della Sinfonia comincia con una lunga nota che viene mantenuta dal lavoro degli archi, finché non cominciano a staccarsi vari incisi. Come ha scritto Theodor W. Adorno, “Questa sonorità consunta discende dal cielo simile a un logoro sipario; non diversamente la luce grigio chiara della nuvolaglia ferisce l’occhio sensibile”. Tutto il movimento appare una forma sonata modificata, in cui la lenta introduzione con un lungo motivo discendente richiama il celeberrimo primo movimento della Nona di Beethoven (con la sostanziale differenza del primato dei fiati sugli archi).
Il tema viene poi interrotto dai clarinetti, che irrompono quasi con un motivo di fanfara, assecondate dalle trombe in fondo all’orchestra che dal canto loro si mantengono in discreta lontananza. Segue poi la più tenue esposizione, in cui parte della melodia viene ripresa dal secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen, dal titolo “Ging heut’ Morgen übers Feld” ("Me ne andavo stamane sui prati"). La melodia viene prima accennata dai violoncelli e poi passa a tutta l’orchestra, finché segue uno sviluppo che riprende l’introduzione, per concludersi in modo quasi umoristico.
È da notare che l’orchestra ha eseguito due volte i primi dieci minuti del primo tempo, a causa di un inopportuno squillo di un telefono cellulare che avrebbe impedito di preservare la purezza del suono per una registrazione radiotelevisiva del concerto.
Il secondo movimento è un minuetto modificato seguito da un Trio. Mahler sostituisce l’autentico minuetto con un Ländler, una forma di danza popolare in ¾ che ha anticipato il classico valzer viennese. Un tema principale si ripete in tutto motivo finché l’energia musicale culmina in un finale frenetico. In seguito nella melodia principale si delinea un accordo di la maggiore che trapassa nel Trio; nella conclusione ritorna il Ländler, con un maggior intervento dell’intera orchestra.
Il terzo movimento è una sorta di lento che riproduce la struttura di una marcia funebre (e non a caso l’idea extra-musicale originaria era quella, tratta da un'illustrazione satirica di un libro di favole per bambini austriaci, del funerale di un cacciatore con un corteo di animali, tematica molto cara alla cultura mitteleuropea, e presente anche in vari modi nelle composizioni di Leoš Janáček). Il materiale melodico inizialmente è addirittura una ripresa semiparodistica del celebre motivo popolare Fra Martino (Bruder Martin), modificato in modo minore.
L’attacco è affidato alle timbriche più gravi, con un contrabbasso solista in primo piano, seguito dal controfagotto e dal basso tuba; poi si inserisce l’intera orchestra, a cui fa da contrappunto una melodia intonata dall’oboe. Segue poi una parte dove si assiste a un deciso cambiamento delle tonalità, contrassegnato dall’uso delle percussioni, fino a riprodurre i suoni di un’orchestrina Klezmer, a marcare le origini ebraiche del compositore. Segue una sezione più contemplativa, dove viene ripreso il quarto dei Lieder eines fahrenden Gesellen, “Die zwei blauen Augen” ("I due occhi blu"). Il movimento si conclude con la ripresa in sovrapposizione di tutti e tre i temi, e con il motivo fondamentale mutuato dal primo tempo.
Il quarto e ultimo tempo, il più lungo e complesso, viene suonato dall’orchestra diretta da Pappano in modo molto incisivo e con una dinamica netta e vigorosa, a sottolineare il suo carattere di sintesi, quasi di Aufhebung (la conservazione che è insieme soppressione e superamento della dialettica hegeliana), degli altri tre movimenti. Pertanto, siamo solo parzialmente d’accordo con Adorno, allorché così si esprime: “nel finale della Prima Sinfonia il dissidio interiore si potenzia, al di là di ogni possibilità di mediazione, in una disperazione integrale rispetto alla quale evidentemente il trionfo conclusivo, con la sua spensieratezza, si sbiadisce diventando un semplice accorgimento di regia”.
Il movimento inizia con un repentino suono dei piatti e con un accordo forte di archi, fiati e ottoni, seguito in rapida successione da un colpo di grancassa. Poi continua freneticamente finché un tema lirico disteso non viene accennato dagli archi. Successivamente, Mahler ripresenta il motivo iniziale, variandolo in re maggiore, grazie all’intervento dei corni; ci aspetteremmo una climax, che però sorprendentemente non si realizza. Tutta l’energia si stempera in un’altra sezione lirica, che cita di nuovo il primo movimento e i motivi dei Lieder. Solo a questo punto il tema iniziale ritorna prima in minore con gli archi e poi in sol maggiore con gli ottoni: qui si raggiunge realmente una progressione ascendente, con il tono di fanfara e con una conclusione magniloquente - in parte mutuata dal Parsifal wagneriano - che l’orchestra di Santa Cecilia e il Maestro Pappano, applauditissimi, riescono sorprendentemente a rendere senza retorica.