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Ludwig Pollak al Museo Ebraico di Roma e al Barracco
Ludwig Pollak, primo direttore onorario del Museo di scultura antica Giovanni Barracco, dove sono custoditi la sua Biblioteca e l’Archivio, viene ricordato a Roma nello stesso Museo Barracco e nel Museo Ebraico, nella mostra “Ludwig Pollak. Archeologo e mercante d’arte (Praga 1868 – Auschwitz 1943). Gli anni d'oro del collezionismo internazionale. Da Giovanni Barracco a Sigmund Freud”, a cura di Orietta Rossini e Olga Melasecchi.
Si tratta di un’interessante esposizione divisa in due sedi, che vuole ricordare questo archeologo ebreo a 150 anni dalla nascita e a 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia, perché proprio a Roma, dove aveva trovato un fertile terreno per i suoi studi e per la sua attività antiquaria, fu vittima dei rastrellamenti del 16 ottobre 1943, che portarono al tragico epilogo della sua vita nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dove fu deportato con la moglie e due figli.
Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, presente all’inaugurazione, ha riconosciuto che di questa figura si era persa nella comunità ebraica romana la memoria storica, nota solo a pochi specialisti: memoria che ora viene finalmente ricostruita con questa mostra. Lo stesso Di Segni, pochissimi anni fa, cercando su Wikipedia la voce Laocoonte, s’imbattè per caso nel nome di Ludwig Pollak, che prima gli era sconosciuto.
A Pollak, in effetti, si deve l’individuazione del braccio destro del Laocoonte, da lui trovato nel 1905 presso uno scalpellino di via Labicana. Quel frammento di marmo, raffigurante un braccio ripiegato con parte di una spira di serpente, poteva appartenere secondo una sua intuizione al Laocoonte conservato nei Musei Vaticani, pertanto lo comprò e lo donò al Vaticano, ma ci sarebbero voluti 50 anni prima del suo ricongiungimento al gruppo scultoreo, dopo aver eliminato il braccio di restauro, che era teso in un gesto aulico. In virtù di questo suo merito archeologico fu il primo ebreo non convertito a ricevere da un papa, Pio X, la croce dell’Ordine di San Silvestro Papa.
Secondo il pensiero dello stesso Pollak, la sua scoperta più importante fu la ricomposizione del gruppo di Atena e Marsia, del celebre scultore greco Mirone. La Atena, che aveva visto una prima volta in casa Stroganoff e poi da un antiquario, che la considerava un volgare falso, fu da lui comprata, studiata e riconosciuta come l’autentica statua della dea che si completava con il Marsia dei Musei Vaticani. La Atena venne venduta alla Liebieghaus di Francoforte, suscitando qualche perplessità, ma all’epoca ancora non c’era il divieto di vendere i nostri capolavori all’estero. Ovviamente troviamo in mostra solo una restituzione grafica del gruppo, mentre fa bella mostra di sé una testa di Marsia del Museo Barracco.
Altre scoperte archeologiche furono l’identificazione del Guerriero ferito di Kresilas, oggi al Metropolitan Museum di New York, e il riconoscimento della cosiddetta Fanciulla di Anzio, poi acquistata dallo Stato italiano e esposta nel Museo Nazionale Romano a palazzo Massimo. Pollak, inoltre, realizzò uno dei primi cataloghi scientifici di oreficeria greca antica per il grande collezionista russo Nelidow e il primo grande catalogo di bronzi rinascimentali per la collezione di Alfredo Barsanti. In occasione della presentazione di questo catalogo, esposto in mostra, Pollak ricevette nel 1923 da Pio XI una medaglia dello stesso pontefice.
Suddito austroungarico, Ludwig Pollak era giunto a Roma nel 1893 con una borsa di studio, dopo i suoi studi classici a Praga e poi a Vienna, dove aveva frequentato il prestigioso Seminario archeologico-epigrafico, i cui insegnanti si erano formati alla scuola del celebre Theodor Mommsen e curavano importanti scavi a Efeso, a Pergamo e a Samotracia. A Roma alloggiò inizialmente presso l’Istituto Archeologico Germanico, che all’epoca aveva la sua sede sul Campidoglio. Avendo un vero talento per il riconoscimento delle opere autentiche dai falsi ed essendo in grado di datare con precisione i manufatti antichi, a Roma divenne collezionista e mercante d’arte, consulente di grandi collezionisti europei, russi e americani, oltre al senatore Giovanni Barracco, che avrebbe poi donato la sua collezione al Comune di Roma.
Tra i collezionisti e studiosi che si avvalsero della sua collaborazione ricordiamo in particolare Carl Jacobsen, proprietario delle birrerie Carlsberg e fondatore della Ny Carlsberg Gliptotek di Copenaghen, il conte russo Gregorio Stroganoff, per il quale curò insieme ad Antonio Muñoz il catalogo della collezione Stroganoff, lo storico dell’arte tedesco Wilhelm von Bode, cui si deve il Bode Museum di Berlino.
La sua vita viene ricostruita in mostra partendo dal Museo Barracco, dove ci accoglie al pianterreno un suo ritratto ad olio eseguito da Fritz Werner (1925), insieme a una serie di immagini, tratte dall’album fotografico di Pollak, riproducenti i più importanti archeologi austro-ungarici, tra cui Alexander Conze, ordinario della prima cattedra di archeologia classica dell’Università di Vienna e fondatore del Seminario archeologico–epigrafico, i partecipanti allo stesso Seminario e i primi borsisti. Pochi stranieri hanno amato Roma come l’ha amata Pollak: ce lo dimostrano i suoi diari, che firmava col nome di Ludovicus Romanus.
Circa un centinaio di opere, tra sculture, ceramiche, dipinti, inediti documenti d’archivio, libri e fotografie, ripercorrono le tante storie che accompagnarono la sua vita. I suoi viaggi di studio in Grecia, in Turchia e in Egitto sono documentati da rare fotografie d’epoca, tra le quali voglio citare in particolare quelle ottocentesche dei Colossi di Memnone e della Sfinge di Gizah. Vengono ricordate anche le sue dimore come quella a palazzo Alberoni Bacchettoni, demolito per l’allargamento di via del Tritone, e l’ultima a palazzo Odescalchi in piazza Santi Apostoli, dove risiedette dal 1927 in poi con la seconda moglie Julia Süssmann, della quale troviamo in mostra un ritratto con in braccio il suo cagnolino, opera di Fritz Werner.
Merito della mostra è proprio quello di ricordare, insieme al personaggio, la Roma dell’epoca e il clima culturale che si respirava nelle dimore dei collezionisti. Allo stesso tempo sono esposte tutte quelle sculture che Giovanni Barracco acquistò su consiglio di Pollak, a partire da un Apollo seduto su una roccia, esposto nell’atrio del museo. Prevalgono i pezzi greco-romani, ma attira la nostra curiosità anche una testa egizia del faraone Sethi I e una testa di leone in alabastro di arte fenicia, proveniente dall’isola sarda di Sant’Antioco. Altre sculture, come pure alcuni dipinti, prestati da altri musei capitolini, facevano parte della collezione dello stesso Pollak e sono stati donati al Comune di Roma, insieme ai documenti e ai libri del cosiddetto Fondo Pollak, dalla cognata Margaret Süssmann Nicod, unica erede del patrimonio della famiglia. Di grande rilevanza sono il cartone secentesco del Domenichino con Salomone e Betsabea e il Ritratto di Dorothea Denecke von Ramdohr con la figlia Lilli (opera di Louise C. S. Seidler, 1819), provenienti dal Museo di Roma.
Dal Museo della Centrale Montemartini proviene invece la Testa ritratto dell’imperatore Claudio in marmo lunense. L’appartenenza di Pollak al mondo culturale e religioso ebraico ha favorito i suoi legami di amicizia e collaborazione con eminenti personalità ebree della cultura viennese di fine secolo, in particolare l’amico Emanuel Löwy, che ebbe a Roma la prima cattedra di archeologia alla Sapienza, e il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, ricordato in un’apposita sezione, che comprende anche una raccolta di maschere e appliques in bronzo acquistate con la consulenza di Pollak, prestate dal Freud Museum di Londra.
Purtroppo l’origine ebraica ha comportato, a partire dagli anni ’30 del Novecento, un suo progressivo isolamento a causa del nuovo “spirito” antisemitico , l’espulsione nel 1935 dall’amata Biblioteca Hertziana e, infine, il tragico epilogo della sua vita. Di grande interesse sono le testimonianze relative ai suoi rapporti con l’ebraismo: dalle radici nel mondo askenazita praghese, al viaggio in Palestina agli inizi del 1900, dall’interesse per le opere di judaica, con l’acquisto dell’Haggadà Prato, capolavoro dell’arte miniata spagnola del secolo XIV (ora nel Jewish Theological Seminary di New York), alla drammatica narrazione della sua tragica fine.