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Kermesse da Byrne a Bacharach in Cavea a Roma
Una scelta dei concerti di Luglio Suona Bene nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma: da Seun Kuti & Fela’s Egypt 80, figlio di Fela, a Burt Bacharach, e attraverso Rachelle Ferrell, Mogway, Steely Dan e David Byrne col suo progetto insieme a Brian Eno. Apertura in Sala Santa Cecilia con Ry Cooder & Nick Lowe.
Fa piacere venire a conoscenza che lo sbigliettamento nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma è aumentato del 4% dallo scorso anno come dai dati annunciati dall’Amministratore Delegato Fuortes. Ciò significa che attraverso una sana e lungimirante gestione si può apprezzare la sapiente regia del Direttore Artistico Flavio Severini, già fautore di indimenticabili stagioni alla Palma.
Uno sfizioso antipasto è il concerto d’apertura il 27 giugno in Sala Santa Cecilia di Ry Cooder & Nick Lowe, in verità piuttosto breve, un’ora e dieci circa, dove l’onnivora sapienza musicale di Cooder (che spazia da blues, tex-mex, musica da film fino a rimi africani), viene registrata e dosata dall’equilibrio del produttore-musicista inglese Lowe, genero di Johnny Cash, che come un metronomo rende il tutto leggibile e fruibile.
Steely Dan (il nome è mutuato da un personaggio da Il pasto nudo di Burroughs) suona lunedì 6 luglio. L’idea dei cervelli del gruppo Donald Fagen (voce e tastiera) e Walter Becker (basso e chitarra), è di nebulizzare i suoni con l’intento di dare mai nulla per scontato. Quindi ubriacanti boogies, esotismo malato, progressioni jazz, vampate bluesy è un pasto sonoro di straordinaria varietà di musiche possibili, del tutto spiazzante.
Seun Kuti & Fela’s Egypt 80 lunedì 13 luglio. Il figlio del grande Fela, anche se dice di amare l’hip-hop, intinge la sua penna nel solco aperto dal padre, l’afro-beat, quasi una forma di musica classica africana. Una performance a metà strada tra Bitches Brew e On the Corner, di Miles Davis, una di highlife, tre di funcky à la James Brown. Entusiasmano la qualità della scrittura, la padronanza scenica e le movenze tribali mai fini a sé stesse, grazie Oluseun!
Rachelle Ferrell giovedì 16, con il suo funambolico Act è una lezione di mirabilia vocale che lascia attoniti e straniati. Sovrasta e tracima tutto, spasmodica ed estasiante. Il gruppo di supporto coadiuva ma viene quasi sempre dominato da tanta tecnica.
Mogway sabato 18. Non poteva mancare lo spazio per una delle band di punta del post-rock contemporaneo. Il loro sound ora abrasivo, ora paradisiaco nonché minimalista, riesce ad essere colonna sonora di questo nostro tempo così destabilizzante e lacerante. L’aspetto vocale entra solo sporadicamente e stridulamente forzato, ma efficace. Tosti, lascivi, orgogliosi si ergono maestosi come un muro di resistenza contro le ovvietà sonore e non del nostro esistere.
David Byrne, lunedì 20, è musicista bifronte ed esploratore sonoro che passa dal folklore al balletto dotto e/o popolare, e sta girando con questo spettacolo Songs of David Byrne and Brian Eno, tra Broadway e danza moderna. Si presenta in scena in un all white abbacinante, per introdurre all’ultimo lavoro a quattro mani con Brian Eno - assente giustificato. Il gospel elettronico serve a spaziare in un viaggio sonoro dove il country si sposa con i canti di montagna libanesi.
Spettacolo affascinante che ha, come suo unico difetto, di mostrare la faccia più glamour mettendo appena appena in ombra quella più sperimentale. Il nostro gioca a fare il crooner e a vellicare il divertimento ma il profondo oscuro rimane lontano. Moijto e Caraibi, come si addice in questo nostro presente così desolatamente svuotato.
Burt Bacharach, venerdì 24. Assistere ad un suo concerto è un privilegio ed un balsamo per il corpo e l’anima. Il suo non è un brand ma uno stato di grazia. Tale è la soavità delle sue strutture musicali che coniugano profondità e leggerezza del vivere, quanto la sapienza di scrittura con la perizia musicale. Nel suo incedere, oramai incerto, s’assapora la dolcezza di porgersi ancora al pubblico che rende lieto il cuore.
Lo spettacolo è antologico ma comunque perfettamente equilibrato come i suoi componimenti. Mi stupisce che Woody Allen non lo abbia inscritto nella classifica delle cose per cui vale la pena di vivere.
Voglio terminare con due citazioni, una di Albert Goldman: “Bacharach è il pathos all’interno del frastuono americano”. L’altra è di Noel Gallagher (Oasis), che recita così: “Se non convinci una donna a venire a letto con te dopo aver ascoltato un pezzo di Burt vuol dire che non ne valeva la pena”.