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MACRO Fotografia 2012. La Roma che non c'è
Arrivato all'XI° edizione, il Festival Internazionale di Roma Fotografia a cura di Marco Delogu, presenta un'indagine quanto mai attuale sul lavoro, “Work” il titolo, a partire da fotografi noti del primo Novecento fino a prove up-to-date: dal 21 settembre fino al 28 ottobre 2012 negli spazi del MACRO Testaccio e con una deriva allargata di esposizioni sia nel MACRO di Via Nizza sia in spazi come l'Accademia di Francia diVilla Medici e la Real Academia de España insieme a molti altri.
Notabili i due fotografi in apertura della Commissione Roma a cura di Marco Delogu, ovvero Paolo Ventura (1968: abita e lavora a New York City), su cui si soffermeremo ed in mostra al MACRO Testaccio con Lo zuavo scomparso, e Anders Petersen, in mostra al MACRO di Via Nizza. Il milanese Paolo Ventura espone una serie di foto che sembrano dipinti: un uomo truccato da clown, che sembra proprio lui in persona, e si aggira durante la prima metà di febbraio (gli scatti rielaborati sono tutti datati tra 6 e 14 febbraio) in una Roma della prima metà del Novecento, atemporale e quasi del tutto disabitata, dove quest'unico profilo si staglia ingombrante, dirimendo ai nostri occhi territori onirici, per ricostruire abitazioni per una futura accoglienza in un riflessivo silenzio.
Oltre alla mostra Field, a cura di Paul Wombell, per cui spiccano le foto di Ulrich Gebert, Mishka Henner e Jackie Nickerson, ci ha colpito la serie firmata da Marco Vernaschi per lo spazio intitolato This is not an office a cura di Marc Prüst. Le foto di Vernaschi hanno un che di Bacon eppur romantiche nel loro mostrare corpi nudi, fragili, completamente offerti alla fotocamera. Placebo è il titolo di questa scoperta del 2010 che scatena l'immaginario su cigni semoventi e strade innevate, o bimbe che sembrano fantasmi.
In ultimo le foto ai sali d'argento degli anni '60 di grandi fotografi come Don McCullin (1935): il ciclo si intitola Camera Work a cura di Marco Delogu e risulta quasi troppo facile mettere insieme foto perfette nel loro ritrarre periferie e catene di montaggio di un'epoca in cui gli operai si sporcavano le mani senza il minimo aiuto teconologico, e dove i volti si scurivano col carbone ed il grasso per far scorrere negli ingranaggi le parti metalliche.
Nel medesimo padiglione le foto di Fosco Maraini, oppure di Josef Koudelka (1938), a getto d'inchiostro, che ritraggono fabbriche americane estese che formano paesaggi innervati di tubi. Vicino, per fortuna, la natura sarda e calda di Daniele Coletti (1959), il Trabagliu di rovine tra le miniere dove le persone brillano per vitalità, come il ritratto di Patrizia Salas, evidentemente immersa in un luogo cui tiene testa, nonostante il buio, ed il carbone che fornisce il lavoro.