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Marc Ribot. Atmosfere lynchiane. Intervista seconda parte
Marc Ribot al Parco della Musica col suo Trio ci ha concesso una nutrita intervista che presentiamo in due parti. In questa seconda parte la vera e propria intervista. Il concerto del Marc Ribot Trio si snoda per circa un'ora e mezzo con un solo bis, lo raggiungo nel camerino con le orecchie ancora piene delle atmosfere lynchiane della sala Petrassi e questo è il resoconto della nostra chiacchierata.
G.B. Hai sempre desiderato essere un musicista jazz.
M.R. Naah…io sono un rocker…(ride)
G.B. Guarda che ho preso una tua dichiarazione…
M.R. Davvero? Non me lo ricordavo …io amo il jazz, il rock, il country, non ho uno stile di riferimento… però in questo momento se dovessi dire che cosa suono, sono più orientato a rispondere: Rock!
G.B. Come ci si sente ad essere indicati come il responsabile del sound attuale di Tom Waits? Dopo le collaborazioni iniziali di “Rain dogs” e “Frak’s wild years”, in “Mule variation” e "Real gone" hai impresso un nuovo suono…
M.R. Ehehe… grande responsabilità anche se penso che abbia influito di più Greg Cohen a dare quel tipo di suono a Tom, in tutti i casi è una miscela difficile da capire come sia scaturita, sai Tom è una persona molto particolare, è un vulcano di idee...
G.B. Sei mai stato prodotto da lui o comunque conosci Tom come produttore?
M.R. Tom è un fantastico produttore, in America ed in Inghilterra il produttore non è come in Italia, cioè il produttore non è solamente la persona che paga il disco, in America il produttore entra in modo decisivo nelle scelte artistiche e tecniche del musicista e questo può essere un bene o un male; nel caso di Tom ti posso dire che sa fare questo come poche persone al mondo, è propositivo, stimolante, una vera fucina di idee, non mi ha mai prodotto ma lo conosco benissimo come produttore.
G.B. Tornando alla provocazione di poco fa sulla tua responsabilità del nuovo suono di Tom Waits, spesso si dice che hai uno stile inconfondibile, in realtà io penso che tu al contrario non abbia uno stile ma che ti cali nell’anima del pezzo e un po’ come zelig ti trasformi, a seconda della melodia che vuoi declinare in una specifica canzone.
M.R. ...sì, in parte penso sia così: anche a me non piace molto l’etichetta del “Suono Marc Ribot,” come se fossi un brand, io cerco di andare al cuore del pezzo ed inserire quello che è la mia sensibilità di musicista per cui ho fatto molte cose diversissime tra di loro e sono tutte mie, nel senso che ne riconosco la paternità anche se così diverse.
G.B. Tornando al country, è un genere che ti piace molto, hai un progetto con Bill Frisell, hai suonato in “Raising sand“ il disco di Alison Krauss e Robert Plant che ha vinto 5 Grammy.
M.R. Sì, è vero, il country, il bluegrass, sono una parte della musica molto poco apprezzate ed a torto sono identificate come una musica dei bianchi del sud, in realtà R&B e country hanno le stesse radici, ci sono dei musicisti country ingiustamente poco conosciuti che hanno scritto canzoni e musiche straordinarie.
G.B. Hai ragione: io ho recentemente riscoperto dei dischi bellissimi e sconosciuti al grande pubblico di Guy Clark e Townes Van Zandt.
M.R: Oh... Townes Van Zandt era un poeta… ha scritto delle canzoni di una tale bellezza…
G.B. Involontariamente (rido mentro glielo dico…) una grande responsabilità in senso negativo verso il country ce l’ha John Landis; la scena in cui John Belushi e Dan Aykroyd (The Blues Brothers, N.d.R.) suonano il pezzo country per assecondare il pubblico del bar è uno sfottò irresistibile… da quel giorno per me il fruitore della musica country era il rednek che voleva la canzone strappalacrime…
M.R. Ahahaha, già hai ragione, grande film The Blues Brothers.
G.B. Marc tu sei un musicista molto impegnato politicamente o meglio socialmente, sottolineo socialmente perché anche se penso che tu sia stato fortemente critico con la precedente amministrazione Bush non ho trovato molte dichiarazioni da parte tua in merito…
M.R. Se vuoi te ne faccio ora una decina (ride): ma sai, è talmente evidente e sotto gli occhi di tutti il danno terribile fatto dall’amministrazione Bush al mio paese ed al mondo che le mie dichiarazioni sono superflue…comunque ho sempre supportato i democratici con iniziative, concerti, l’ho sempre fatto insieme ad altri colleghi, anche grandi nomi che si sono sempre schierati con i democratici e penso sia il dovere di un personaggio pubblico impegnarsi in quello che crede giusto visto il piccolo o grande potere che abbiamo nei confronti delle persone che ci ascoltano.
G.B.…Già, mi ricordo che Bruce Springsteen fece una tournee di 35 concerti per sostenere Kerry, i Rem fecero lo stesso e così via una enorme quantità di musicisti eppure George W. Bush fu rieletto…
M.R. Hai ragione, sembra che in America la gente non ascolti la musica, eh? Oppure non crede in quello che diciamo… erano sotto gli occhi di tutti gli errori compiuti dall’amministrazione Bush, Kerry aveva l’appoggio di tutti i musicisti, scrittori, intellettuali, il movimento che si era creato intorno a lui faceva ben sperare eppure alla fine non ha funzionato…
G.B. Allora perché secondo te con il presidente Obama ha funzionato? Merito di Oprah Winfrey?
M.R. Eheheh, forse… no, guarda ti devo dire che per me il presidente Obama è il miglior politico che i democratici abbiano mai espresso. E' chiaro che deve lottare per i cambiamenti che vuole fare e le resistenze interne sono tante, però sono sicuro che sta facendo moltissimo… poi ci sono anche i limiti della politica, noi pensiamo che il presidente americano possa fare tutto ma ci sono gli interessi economici in ballo che non permettono che le cose vadano come vorremmo…in fondo la politica è l’arte del possibile.
G.B. Prima dicevo che sei socialmente impegnato riferendomi a Green Peace o al Musician Solidarity Database… a proposito, è sempre attivo? mi è sembrata una iniziativa molto interessante.
M.R. No, purtroppo non è più attivo ed è un peccato: era una gestione molto complicata e quando ha cominciato a generare una cooperazione importante anche in termini di denaro prodotto non siamo riusciti a seguirlo correttamente.
G.B.Durante il tuo concerto, ho avuto la sensazione in molti tratti che potesse essere la colonna sonora di un film di David Lynch…
M.R. Davvero? Questa cosa che mi dici è interessante, inconsciamente forse lo sentivo anche io… e devo dire che mi piace aver dato questa sensazione…
G.B. In generale come è il tuo rapporto con il cinema ed in particolare le colonne sonore? Hai collaborato con T-Bone Burnett per la colonna sonora di “Walk the line”, il film sulla incredibile vita di Johnny Cash, hai fatto la colonna sonora per “The departed” di Martin Scorsese...
M.R. Io amo molto il cinema ed il rapporto che ho con le colonne sonore è di grandissimo interesse; il linguaggio della colonna sonora ha un suo codice molto preciso che ha una lettura universale, se io scrivo un pezzo con dei violini che accompagna una scena di un film, la musica sarà universalmente letta come commovente sia dall’appassionato di musica classica, sia dal ragazzetto punk, sia dal rasta. In pochissimi altri casi la musica ha un suo codice così preciso dovuto all’associazione con le immagini.
G.B. Senti Marc, lo so che la domanda che ti sto per fare è stupida però nasce da una mia osservazione: in tutti i tuoi concerti che ho visto, con il trio, con il progetto tributo a Serge Gainsbourg, con Masada di John Zorn, ti siedi esattamente orientato nella stessa posizione.
M.R. Non sei il primo che lo nota ma credo sia casuale.
G.B. Lo avevo premesso che era stupida…
M.R. (ride ed implicitamente conferma).
Ci accorgiamo che sono quasi le due di notte: Marc è stato di una disponibilità e di una gentilezza estrema e la magia del concerto è ancora nell’aria tiepida della notte di fine aprile.