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Margherita alla Casa delle Culture. Il terso indugio dei ricordi
Dedicato alla nonna Margherita Smacchi, la cui storia vera ha ispirato il nipote, giovane regista Francesco Spaziani, Margherita, alla Casa delle Culture dal 5 al 7 marzo 2010, ha dato vita - con questo testo semplice e denso – all’autenticità coinvolgente di una storia vera la cui protagonista è una nonna che rievoca il suo primo ed unico amore, Elio.
Oggi Margherita, a novantadue anni e con la malattia dei ricordi (il triste e melanconico Alzheimer), riverbera il suo breve idillio con Elio, l’unico, indelebile tratto che nemmeno la malattia potrà mai elidere dal passato.
Margherita nasce a San Marco (vicino Gubbio) il 3 marzo 1920 – abbiamo appena festeggiato il suo compleanno – e disegna galline. Si trova nella sua cucina mentre ode una voce distorta che la chiama da lontano e che non riconosce. Si, perché Margherita sente così le voci altrui probabilmente, soltanto i ricordi del suo Elio sono ballerine che come fantasmi le danzano attorno piene di luci melanconiche. L’incredibile Sarah Vecchietti interpreta questa ragazza che nell’adolescenza conosce il grande amore e si pente di avergli detto di no: di non averlo seguito, di “aver coperto per tutta la vita l’unica cosa che mi avrebbe riempito”. La mancanza di coraggio, il rimpianto di non aver scelto una strada perigliosa con lo sconosciuto che le tendeva la mano: “di aver avuto paura delle cose che fanno bene: perché aspettiamo a prenderci le cose che vogliamo?”
La confusione che ha ora nella testa è soltanto intervallata dai ricordi di questo amore che ha rincontrato – grazie al nipote regista Spaziani – due volte: una a quarant’anni, quando era già sposata ed aveva i figli, ed un’altra a 84. Possiamo dire che questo, idealmente, è il loro terzo incontro: aldilà del tempo, per fissarsi definitivamente non solo nella loro memoria, ma nella memoria di tutti coloro che scelgono la “porte etroite” (la porta stretta) di Gide, che vediamo rarefatta nel velo nuziale con la dolcissima Spiegel im Spiegel di Arvo Pärt come tappeto sonoro, a cui Margherita sta finalmente accedendo, attraverso le vie imperscrutabili del desiderio, e le impervie ragioni del compimento.
Un plauso dal cuore alla scelta del regista di rappresentare con tanta poetica sostanza l’illeggibilità dei ricordi, sommersi nel mare dell’esperienza vorace, a forza inabissati tra onde proterve e desuete, fluttuanti come in uno specchio che, riflettendo gli altri, permette di tradurre con più fedeltà la realtà e rendercela in minima parte comprensibile.