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Men di Alex Garland. L'incubo di Lilith
Esce il 24 agosto 2022 in sala, distribuito da Vertice 360, il nuovo film di Alex Garland dopo un altro horror psicologico del 2018 inttitolato Annihilation. Men, scritto e diretto da Garland come quasi tutti i precedenti, annotiamo che l'autore si è fatto conoscere nel 1996 con il romanzo The Beach, e che con Ex Machina, che ha diretto e scritto nel 2015, si è aggiudicato tre BIFA (British Independent Film Awards) per miglior film, regia e sceneggiatura. Un regista quindi notevole per la visionarietà, Ex Machina era fantascienza, gli altri sono quasi tutti horror psicologici, in cui il topos centrale rimane l'isolamento.
L'isolamento e la solitudine permangono anche in Men come dotazione concettuale maggiore di elaborazione e speculazione: onnivora matrice di incubi e fantasmi che rilevano per tutto il film, serpeggiando tra le fronde di una sperduta, in questo caso, villetta inglese in uno sconosciuto paesello chiamato Colson.
La protagonista, veramente androgina, ed interpretata da Jesse Buckley, si chiama Harper (anche il nome è maschile), ed ha appena perduto il marito di colore e cerca di elaborare il trauma da sola in questa tenuta di campagna che presenta personaggi maschili uno piu' inquietante dell'altro.
Da questa riga in poi si consiglia di non leggere perchè la recensione contiene delle chiavi di lettura che potrebbero spoilerare o meno sul contenuto filmico.
Cotton Woods: i boschi in cui si avventura Haper mostrano una sorta di tunnel del diavolo dove lei vede la prima apparizione, non distinguibile effettivamente. La seconda è ben delineata intorno ad un casolare abbandonato, ma la strada fino all'albero di mele sotto casa sua è molto breve...
La chiesa è un altro posto archetipico, dove sotto l'altare si nasconde da una parte un demone e dall'altra Lilith, la prima moglie di Adamo, cacciata perchè non era sottomessa sessualmente: Garland pesca a mani bassi nell'inconscio collettivo del doppio standard sulla madre, quella benigna e quella malefica (da qui la Maleficent della fiaba) e sulle paure degli uomini, che adorano e odiano allo stesso tempo questo legame simbiotico con la prima matrice della loro vita. Un complesso edipico che si struttura attraverso rapporti perversi e non chiariti, che giunge fino al topos del "lupo", divoratore/divorante, alla ricerca perenne di sanare una ferita che può guarire solo attraverso una rigenerazione attraverso il dolore, il famoso Chiron, "la lancia che ferisce è la lancia che guarisce", come si ode anche nel Parsifal di Wagner, ampia rilettura dei miti medievali che ripropongono una versione psicoanaltica dei rapporti umani.
Ciò che però sottolinea Garland è la sofferenza, senza una vera catarsi: una sequela di caratteri uno piu' balzano dell'altro, e tutti assolutamente preda delle loro psicosi. Caduti tutti dalla mela di Adamo, questi personaggi maschili irrisolti sono uno piu' grand-guignol dell'altro e vorrebbero appropriarsi, della dote creativa della donna che è preda di un senso di colpa "che genera mostri" come direbbe Goya parafrasando uno dei suoi Caprichos piu' noti, "Il sonno della ragione genera mostri" (1799).
In fondo lei, Harper, materializza dei mostri che non sono suoi, che non sono "partoriti" da lei, in un certo senso, ma che le appaiono perchè gli ha dato spazio, senza vincolarli. Il resto lo fanno le immagini cruente, tutte rutilanti e con un sottofondo musicale a cura di Ben Salisbury e Geoff Barrow che mischia le antiche pastorali con il loop à la Penderecki, un incubo che ipnoticamente squarcia qualsiasi resistenza all'inquietudine.