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Michelangelo a colori. La mostra a Palazzo Barberini
Tra le celebrazioni per Leonardo che stanno finendo e quelle per Raffaello che segneranno il 2020, Palazzo Barberini propone in questo “interregno” un omaggio a Michelangelo Buonarroti (1475-1564), l’altro grandissimo protagonista del Rinascimento, con la mostra “Michelangelo a colori. Marcello Venusti, Lelio Orsi, Marco Pino, Jacopino del Conte”, a cura di Francesca Parrilla e Massimo Pirondini, con il coordinamento scientifico di Yuri Primarosa.
Fino al 6 gennaio 2020 possiamo ammirare alcune opere di quattro artisti vicini a Michelangelo, che sono state realizzate basandosi su disegni del geniale Maestro. Giorgio Vasari racconta, in effetti, che Michelangelo disegnò dei “cartonetti” che altri avrebbero “colorito”. Questi disegni, che lui regalava ad amici e collezionisti, realizzati “per amore e non per obrigo”, possono essere considerati dei prototipi grafici utilizzati da Marcello Venusti (1512-1579), un pittore valtellinese giunto a Roma verso il 1540, e da altri seguaci del Buonarroti.
Come ha ricordato nel corso della presentazione alla stampa Flaminia Gennari Santori, Direttrice delle Gallerie nazionali di arte antica Barberini - Corsini, “Michelangelo non si reputava un pittore, anche se lo era in sommo grado, preferendo sicuramente la scultura e l’architettura”. Certo, pur non amando il “colorire”, lavorò per anni alla straordinaria decorazione ad affresco della Cappella Sistina e anche alla Paolina, perché ai papi non poteva dire di no, e aiutò i suoi seguaci a realizzare altri capolavori pittorici: pensiamo in particolare a Sebastiano del Piombo, la cui sublime Pietà del Museo Civico di Viterbo è stata disegnata dallo stesso Michelangelo.
Allo stesso modo è a lui che si deve l’ideazione di un’Annunciazione che fu dipinta a colori da Marcello Venusti intorno al 1550 per la Cappella Cesi di Santa Maria della Pace, ma la pala, essendosi poi rovinata per via di una piena del Tevere, fu sostituita nel Seicento con un altro dipinto e se ne persero le tracce. Numerose versioni in formato ridotto testimoniano comunque la fortuna del modello michelangiolesco e in mostra troviamo le accurate versioni di Venusti e di Lelio Orsi, esposte accanto alla riproduzione del cartonetto michelangiolesco (l’originale è a New York).
Nella versione di Venusti (Gallerie nazionali di arte antica Barberini - Corsini) la stanza è permeata da una luce divina, emanata dalla colomba dello Spirito Santo, che nel disegno di Michelangelo è assente. Il mistero dell’Annunciazione è raffigurato come un fatto intimo e raccolto, con la Vergine che interrompe la sua lettura e si volta turbata verso l’Angelo che scende volando verso di lei. Sul tavolo da lettura della Vergine è collocata una scultura raffigurante Mosè con le Tavole della Legge, che allude alla continuità tra il Vecchio e il Nuovo Testamento.
La versione dell’Annunciazione di Lelio Orsi (Museo Gonzaga, Novellara) si discosta un po’ dal disegno del cartonetto. Orsi rispetta Michelangelo, ma lo reinterpreta a suo modo, con gesti più manierati. Questo dipinto ha girato il mondo in seguito a diverse vendite ed è ritornato dopo secoli a Novellara, dove era stato concepito. Sul retro della tavola vi è un cartiglio con una perizia commerciale del 1679 firmata da padre Sebastiano Resta, che attribuisce l’opera a Correggio, mentre l’attribuzione a Lelio Orsi nel 1950 la dobbiamo a Federico Zeri.
Da un mistero gaudioso ci spostiamo ora a un mistero doloroso: l’Orazione nell’Orto, raffigurata a colori in due oli su tavola da Marcello Venusti con tonalità diverse. La prima versione (Gallerie Nazionali di arte antica Barberini Corsini) ha i colori più accesi, mentre la seconda, proveniente da Spoleto (Fondazione Marignoli di Montecorona), è più cupa, anzi decisamente notturna e ci sorprende per quelle tinte acide, violacee, che sembrano preludere agli eventi tragici dell’immediato futuro. Il “cartonetto” (facsimile, l’originale è conservato a Firenze, nel Gabinetto Disegni e stampe degli Uffizi) esposto a fianco appare come una venerabile reliquia logorata dal tempo e dalle mani dei primi seguaci dell’artista. L’invenzione di Michelangelo consiste nel dividere la narrazione in due parti: a sinistra Cristo è intento a pregare nell’Orto degli ulivi, mentre sulla destra richiama gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni che si erano addormentati. Manca il Tempio di Gerusalemme sullo sfondo, che invece troviamo nelle tavole di Venusti.
Sempre di Marcello Venusti sono il Cristo vivo sulla croce con la Vergine, San Giovanni Evangelista e Santa Maria Maddalena (olio su rame, collezione privata), che riprende un disegno di Michelangelo, aggiungendo però le figure ai lati, e forse la Madonna del Silenzio (Galleria di Palazzo Corsini), che traduce in pittura un’altra iconografia michelangiolesca. Un altro Cristo vivo sulla croce (olio su tavola, collezione privata) è di Marco Pino ed è una rielaborazione, come quella di Venusti, del crocifisso disegnato da Michelangelo e donato alla sua amica Vittoria Colonna.
La Deposizione di Cristo, conservata a Palazzo Barberini, è di Jacopino del Conte e sembra rifarsi ad alcune possenti Pietà michelangiolesche, in particolare a quella Bandini, conservata nel Museo del Duomo di Firenze. Si tratta di un’opera dai toni drammatici, ma con il corpo di Cristo ancora vigoroso, che sembra alludere al suo trionfo sulla morte. Un’altra Deposizione prestata dall’Accademia di San Luca è di Marcello Venusti, che indubbiamente è il pittore più rappresentato in mostra.
Ricordiamo che Venusti è considerato il più fedele divulgatore delle invenzioni michelangiolesche e ha riprodotto nel 1549 il Giudizio universale in una copia di grandissimo formato per il cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III. Ma questo pittore, pur talentuoso, non riesce a rendere del tutto quella visione michelangiolesca così profonda dei temi del peccato e della salvezza che Cristo Dio concede agli uomini immolandosi. Michelangelo era un vero genio dell’arte, un artista completo, e allo stesso tempo un uomo spiritualmente superiore, in grado di vedere nell’umanità il riflesso dell’armonia divina, tant’è che in un sonetto ha scritto:
“Veggio nel tuo bel viso, signor mio, / quel che narrar mal puossi in questa vita: / l’anima, della carne ancor vestita, / con esso è già più volte ascesa a Dio”.