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Il mistero di Dante. Su per la selva oscura
Dopo l'ottimo, originale, indipendente Rasputin (2011), Louis Nero, che non è figlio di Franco Nero sebbene lui collabori a quasi tutti i suoi film, è giunto a dirigere questa sorta di documentario misto a fiction dal nome altisonante: Il mistero di Dante. Con protagonista Frank Murray Abraham, per cui non servono presentazioni, sarà lui a condurci nei meandri di questa ricerca che non è nuova, come alter ego (orientale io direi) di Dante, a cominciare dai dintorni della Gran Madre, il Pantheon di Torino.
La tesi che la Divina Commedia sia un percorso iniziatico di certo non è recente, e non lo è neanche il parallelo con tutti i grandi libri capostipiti delle religioni maggiori: dallo Zohar, al Mahabbarata, all'epopea di Gilgamesh, alla Torah, agli scritti del profeta Maometto. La discesa negli inferi, nel senso alchemico nella nigredo (la neritudine, ovvero la depressione moderna e la malinconia dei tempi di Dürer che l'ha ben focalizzata nei suoi simboli e nei suoi strumenti in Melancolia I e II); le due fasi che ne conseguono, albedo e rubedo, che potremmo indicare come purgatorio e paradiso nei termini danteschi, come sposalizio metaforico tra il femminile yin e maschile yang in senso junghiano, e conseguente integrazione degli opposti, sono troppo generiche.
Ovvero, perchè - abbiamo chiesto al regista in conferenza stampa - non ha seguito un fil rouge che potesse meglio dimostrare nello specifico, con citazioni precise, il senso profondo, eso/essoterico della Divina Commedia?
Louis Nero ha risposto come segue: “Quello che volevo raggiungere non era specifico, volevo dimostrare che dentro la Commedia vi sono vari livelli e raggiungere quello profondo corrisponde ad un percorso di iniziazione”. Però rimane il fatto che così poco è dimostrabile in realtà questa tesi perchè troppo vasto è il repertorio: è come scrivere una tesi sull'intera Commedia genericamente, senza tesserne un filo unico, indissolubile e più difficilmente controvertibile perchè consustanziato da prove dettagliate.
E allora la sfilata di mostri sacri da Zeffirelli (che c'entrerà mai con Dante lui ed i suoi cagnolini?); a Gabriele La Porta, affascinante nell'eloquio e nella vigoria intellettiva, nonché nei messaggi controcorente come nella lettura al femminile della Divina Commedia con Beatrice all'apice come “Intellighenzia” sublime; il controverso Massimo Introvigne come i Prìncipi massoni, di cui sinceramente mi sfuggono i nomi, seppur coperti da pesanti catene ricolme di stemmi; il Rabbino capo Riccardo di Segni; altri esponenti principali delle religioni indiane ed arabe; non ultimo Valerio Massimo Manfredi, piuttosto lanciato sul côté visionario: che cosa significheranno? Di certo la tesi che i poeti stilnovisti coincidano con i Fedeli d'Amore di cui Dante faceva parte, può essere vera, però questo dove vuole condurre?
Rimangono piuttosto degli enigmi più che delle risposte. Soprattutto mi è rimasta l'amarezza che non sia stato citato Gustav Doré come quell'illustratore sommo che ha ispirato le immagini animate dagli attori nelle parti dedicate alla rappresentazione di stralci dei tre regni dell'aldilà: quel sublime pittore (ancorché fuori diritti) che si è dedicato a dipingere col tratto la discesa e la salita “su per l'erto colle” ed infine a “riveder le stelle”. Tra le due statue di Fede e Ragione della Gran Madre, ne manca evidentemente una terza, equidistante, ancora da trovare, sicuramente, nell'oscurità.