Monaco Philharmonie. Vengerov in doppia performance

Articolo di: 
Teo Orlando
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Il 3 maggio 2017 la Sala da concerto del Gasteig di Monaco di Baviera ha visto un'esibizione dei Münchner Philharmoniker, che hanno eseguito due brani celeberrimi: il Concerto per Violino e Orchestra in Re maggiore op. 61 in Re maggiore di Ludwig Van Beethoven, e la Sinfonia n. 9 in Mi minore "Dal Nuovo Mondo" di Antonín Dvořák. Alla direzione dell'orchestra si è collocato lo stesso violino solista, ossia Maxim Vengerov, con un'insolita scelta che non solo non ha nuociuto, ma anzi ha giovato alla compattezza della performance.

Sicuramente il Concerto per violino e orchestra di Beethoven appartiene alle massime espressioni di tale genere quasi sinfonico, e, pur essendo servito da modello per numerosi altri concerti per violino (da Mendelssohn a Bruch, da Barber a Bartók, da Bruch a Berg, da Schumann a Brahms, da Prokofiev a Saint-Saëns, da Čajkovskij a Dvořák, da Schnittke a Glass), rimane probabilmente il paradigma assoluto e insuperato, per tessitura armonica, uso delle scale melodiche e raffinatezza timbrica. Composto dal grande genio di Bonn per il violinista Franz Clement e dedicato a Stephan von Breuning, un amico d'infanzia del compositore, ebbe la sua prima esecuzione a Vienna alla fine del 1806, senza suscitare quell'entusiasmo che pure avrebbe meritato, probabilmente anche per alcune eccessive libertà che il violino solista si concesse. 

Il primo tempo (Allegro ma non troppo) ha una durata inusitata (quasi mezz'ora), in cui il talento di ogni violinista, sia che appartenga all'orchestra, sia che esegua come solista, viene messo a dura prova. Vengerov sa affrontarlo con sovrana maestà, dominando sia il suo strumento, sia l'orchestra che dirige alternamente. Peraltro, la sua entrata come solista è ritardata quanto più possibile, come previsto dalla stessa partitura originaria. Anzi, la stessa esposizione del primo tema cantabile da parte del violino viene continuamente differita, finché tra violino e orchestra si instaura una forte complicità. Comunque, allo strumento solista non viene permesso neppure di suonare per intero il secondo tema (dall'afflato fortemente lirico e in tonalità di sol). Abbiamo comunque in un caso l'emergere dell'intera orchestra da un lungo assolo, e in un altro l'affiorare dell'assolo dal tessuto orchestrale, con un tipico andamento dialettico. E pertinentemente si espresse Theodor W. Adorno: "fa parte della dialettica in Beethoven la rappresentazione della tranquillità per mezzo del movimento, ad esempio nel I tempo della Sonata Pastorale op. 28 e nel primo tempo del Concerto per violino".

Il secondo tempo, Larghetto, è solo in apparenza un tipico tempo lento: vi si nasconde quasi una dissertazione lirica durante una conversazione, come osservò il critico Maynard Solomon

Il terzo tempo, Rondò: Allegro, pur presentandosi in modo ritmico e incalzante, si stempera in sonorità quasi "pastorali", che legittimano comunque la definizione che E. T. A. Hoffmann diede del concerto come "sinfonia con violino obbligato".

Dopo una breve pausa, l'orchestra rientra con Vengerov nelle vesti di direttore unico. E si attacca subito con il primo tempo della Symphonie Nr. 9, op. 95 di Antonín Dvořák, la celeberrima "Sinfonia dal Nuovo mondo". La sua genesi è troppo nota perché qui sia il caso di dilungarsi troppo su di essa: basterà qui richiamare il fatto che Dvořák la compose negli Stati Uniti nel 1893, durante la sua attività come direttore del National Conservatory of Music a New York (nello stesso anno fu eseguita alla Carnegie Hall di New York sotto la direzione di Anton Seidl). Nonostante alcuni giudizi ipercritici e la diffidenza di personalità come Adorno, che rubricava opere come questa o quelle di Čajkovskij come "bombastiche", è innegabile che la sinfonia di Dvořák riesca a trasporre mirabilmente temi e musiche popolari boeme intrecciate con sonorità desunte dalla musica dei nativi americani. Lo si nota già nel primo tempo (Adagio – Allegro molto), che privilegia le sincopi, l'ostinato e le scale pentatoniche. Notevole è anche l'uso del cosiddetto scotch snap o ritmo lombardo, in  cui una nota breve e accentata è seguita da una più lunga. Peraltro, la forma della sinfonia è ciclica, sicché il primo tema iniziale dell'Allegro ricorrerà variamente nel corso dell'intera sinfonia.

Il secondo tempo, Largo, ci introduce con levità da una successione di ampi accordi a una melodia pentatonica che conferisce al movimento un'atmosfera regolare e ripiegata in sé stessa, quasi un'elegia, in cui qualcuno ha ravvisato tracce di canti pellirossa e di spiritual afro-americani, e qualcun altro di canti popolari boemi.

Il terzo tempo, Scherzo: Molto vivace, intreccia momenti ritmicamente complessi a una serie vivace di melodie, con un doppio Trio centrale.

Il quarto tempo, Allegro con fuoco, reboante e quasi minaccioso, è forse la parte più famosa della sinfonia, al punto da essere stata ripresa più volte anche in ambito rock, ad esempio dai Nice di Keith Emerson e da altri gruppi progressive. Si apre con un'icastica affermazione del tema (che viene poi ribadito al termine, quasi non stancandosi di ripeterlo) e continua con un'accumulazione di tutte le idee melodiche dei movimenti precedenti, sicché il movimento finale si presenta quasi come una sintesi dell'intera Sinfonia. Una standing ovation da parte di un pubblico tanto numeroso quanto entusiasta conclude degnamente la serata.

Pubblicato in: 
GN28 Anno IX 12 maggio 2017
Scheda
Titolo completo: 

Münchner Philharmoniker

Monaco di Baviera, Gasteig, 3 maggio 2017

Ludwig van Beethoven
Konzert für Violine und Orchester D-Dur op. 61

1. Allegro, ma non troppo
2. Larghetto
3. Rondò: Allegro

Antonín Dvořák

Symphonie Nr. 9 e-Moll op. 95
»Z nového sveˇta« (Aus der Neuen Welt)
1. Adagio – Allegro molto
2. Largo
3. Scherzo: Molto vivace
4. Allegro con fuoco

Maxim Vengerov, Violino e Maestro concertatore
118. Spielzeit seit der Gründung 1893