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Musei Vaticani. Il lungo Braccio dell’arte classica
Si può scrivere della riapertura al pubblico del Braccio Nuovo dei Musei Vaticani – avvenuta il 22 dicembre 2016 – partendo dall'affollata presentazione alla stampa, il 19 dicembre, dei lavori compiuti. Al tavolo della presidenza, nella Sala delle conferenze gremita di giornalisti e di tv, sedevano il prof. Antonio Paolucci – amato e stimato direttore dei Musei Vaticani dal 2007, che sarà sostituito fra pochi mesi dalla prof.ssa Barbara Jatta –, l’archeologo Giandomenico Spinola, Guy Devreux, direttore del laboratorio per i restauri marmorei e lapidei, e Micol Forti studiosa di arte moderna e contemporanea, che dirige la Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani.
Una conferenza stampa diversa da altre, in cui si è creato un clima di condivisione fra relatori e giornalisti, scandito da numerosi applausi, per il sentimento includente del «noi con voi insieme per la grande arte». Emergeva la comune passione per l’antichità greco-romana unita al riconoscimento della missione che i Musei Vaticani svolgono in tale campo a livello mondiale. Sulla scia di tanta partecipazione si sono svolti gli interventi dei relatori che hanno teso a evidenziare la coralità dei lavori di restauro del Braccio Nuovo iniziati nel 2009. Storici dell’arte, archeologi, restauratori, generosi finanziatori, comunicatori hanno lavorato – con l’ausilio delle più moderne tecnologie e di nuovi materiali – per ridare luce e fruibilità alle statue e ai bassorilievi che adornano il grande spazio espositivo romano: restaurato dai pavimenti alle pareti, fino alle volte, e messo in sicurezza.
«Ogni scultura è stata per noi come un libro di storia dell’arte» ha detto Spinola. Un suggestivo documentario della durata di tre minuti ha illustrato e ricordato le tappe dei lavori, con l’emozionante colonna sonora di I wow to thee my country – l’inno composto nel 1921 su versi di sir Cecil Spring Rice e la musica di Gustav Holst – che ha evocato la missione ecumenica della cristianità e un laico sentimento di generosità civile e culturale.
Nel 1815, il rientro dalla Francia delle opere confiscate da Napoleone richiese il riordino delle collezioni pontificie del Museo Chiaramonti e la costruzione di un nuovo settore per la scultura classica. Il sommo scultore Antonio Canova era stato incaricato di recarsi a Parigi per recuperare le opere d'arte trafugate in forza del Trattato di Tolentino (1797). Per la sua efficace azione Canova fu insignito del titolo di «marchese d'Ischia». I lavori di costruzione del Braccio Nuovo furono diretti da Raffaele Stern, architetto dei Sacri Palazzi Apostolici – poi da Pasquale Belli –, e dallo stesso Canova.
Realizzato tra il 1816 e il 1822, il Braccio Nuovo – lungo 68 metri – fu ispirato ai modelli neoclassici tedeschi e francesi, e propose raffinati equilibri ambientali di luce e di colore. Maestosa è la volta a botte a cassettoni, decorata da rosoni in stucco su un fondo color carta da zucchero, con delicati fregi longitudinali. Sui due lati del braccio si trovano ventotto nicchie che accolgono una magnifica collezione di sculture classiche – dovuta alla lungimirante politica di acquisizioni dei pontefici – che creano un gioco di rimandi cromatici con l’avorio della volta, il finto marmo delle pareti, il bianco e nero dei mosaici pavimentali e i marmi colorati. Al centro della galleria si trovano il celebre gruppo scultoreo del Nilo e il busto di Papa Pio VII firmato da Antonio Canova.
In questo pantheon della scultura classica si vedono l’Augusto di Prima Porta, il Nilo con sedici putti ritrovato in Campo Marzio, i Pavoni del Mausoleo di Adriano, l’Athena Giustiniani, la copia romana del Doriforo conservato a Napoli al Museo Archeologico Nazionale, il Sileno con Dioniso bambino tra le braccia e Bacco, Apollo, Sofocle, la Pudicizia, il Fauno … e ogni altro archetipo della nostra memoria collettiva dell’antica bellezza dell’arte.