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Necroromanticismo e fumetti. Intervista a Paolo Di Orazio. Seconda parte
La Coniglio editore ha deciso di pubblicare una serie di raccolte di Racconti di fantasmi ritraducendo grandi autori, da Bierce a Nodier passando per Montague Rhode-James. Il traduttore e curatore per tutte e tre è Riccardo Reim, per quella dedicata a Bierce in collaborazione con Paolo Gessini. Andrea Di Consoli, Gianfranco Franchi e Antonio Veneziani hanno aggiunto delle note introduttive calibrate per ogni autore. Paolo Di Orazio si è occupato di scegliere e presentare un appendice particolare: un fumetto con relativa introduzione sull’autore che l’ha ispirato e sui disegnatori. Disegnatore e scrittore anche lui lo abbiamo intervistato.
L.B. Dracula viene associato a Charles Nodier La monaca insanguinata ed i disegni di Gianni Grugef sono tratti dai fotogrammi del film Nosferatu di Murnau (l’ispirazione diretta è il Dracula di Bram Stoker del 1897 ma gli eredi negarono i diritti cinematografici e Murnau si vide costretto a cambiare titolo e nome del personaggio del film). Quanto questo personaggio creato da Stoker ha influenzato l’immaginario degli odierni disegnatori di fumetti e come è stato riprodotto?
PDO. Il Conte di Bram Stoker è dipinto come un polveroso rapace, ben visualizzato dal Nosferatu di Murnau (1922) e fedelmente riproposto nel remake di Werner Herzog (1979), e dal film nel film L'ombra del vampiro (2000). Ma dagli anni Cinquanta-Sessanta, il Conte fumettistico ha modellato i propri connotati ricalcando il fascino austero di Christopher Lee: capelli impomatati, portamento fiero, abbigliamento curato. Una tendenza americana che ha prodotto un cliché visuale di universale accezione, fino ai modelli sensuali e fashion dei nostri giorni. Gianni Grugef disegna il Conte originale, proprio ricostruendo fedelmente quell'idea di Male assoluto e isolato rappresentata dal Dracula di Stoker, preferendolo all'aspetto emo-parassitario del vampiro in generale. In ogni caso, il vampiro di Stoker non si può dire che abbia influenzato particolarmente l'immaginario dei fumettisti mondiali o italiani. Anzi, per i più disattenti, è più “dracula” Christopher Lee (Bela Lugosi al 2° posto) che il Nosferatu di Stoker-Murnau.
L.B. Tutti e tre i fumetti scelti sono molto particolari e lei è stato libero di sceglierli indipendentemente dalle storie: sono stati tratti da riviste di genere che risalgono a delle annate ben definite e di straordinaria tiratura per qualità dei contenuti?
PDO Le storie che ho scelto per Racconti di Fantasmi provengono da un fertile bacino di produzione rappresentato dalla testata Horror della milanese Gino Sansoni Editore, collana da edicola che portò i migliori incubi a fumetti ai lettori tra il 1970 e il '75, sia in formato grande che pocket. La peculiarità di questi collezionabili stava nella scelta degli autori, tutti italiani, raccomandati da un avatar di eccezione come il Dottor Horror, voce e occhio editoriale che divenne un vero e proprio marchio di fabbrica. La straordinaria varietà di stili, dal segno delirante di Max Capa, radice psichedelica dell'underground moderno, al naif di Edoardo Bastone, Bonifacio Pontonio e Ileana Rubcich ai più tradizionali Sergio Tuis e Zaniboni, rendeva questi prodotti sufficientemente inquietanti e pregni di un senso claustrofobico senza fine: la lettura era un autentico tunnel degli orrori, un deserto di avventure dell'insolito dove non trovavi nemmeno una goccia di sangue (per dissetarti).
La proposta editoriale era quindi un fronte compatto di produzione horror di degna modernità, tra racconti liberi e altri liberamente tratti dai classici della narrativa dell'orrore. Senza dimenticare che, all'epoca, l'appassionato era sovraeccitato da prodotti americani di eccelso livello, con in testa i racconti presentati da Zio Tibia nella sua strepitosa trilogia Oscar Mondadori (1969-1972), dove regnano - tra l'altro - spettacolari riduzioni dai racconti di Poe; nonché dai pocket Marvel e altri marchi italiani che raccoglievano il meglio della produzione americana e argentina. Ancora fumetti d'oltreoceano erano dirottati su Il Corriere della Paura e Dracula della italiana Editoriale Corno. In questa massiccia invasione del brivido, in una breve epoca che potremmo chiamare bloody golden age del fumetto dell'orrore, la testata Horror si difendeva bene ruotando attorno alle firme illustri di Alfredo Castelli, Pier Carpi e Carlo Peroni, e fronteggiava l'impatto straniero in edicola con ottimi racconti e interessanti dossier saggistici sulla paura. Un contenitore di lustro che non ha avuto più eguali nella storia editoriale italiana.
L.B. I suoi fumetti ed i suoi racconti come e quanto sono stati influenzati dai precedenti: ci può delineare una storia in merito?
PDO. La mia produzione horror, sia scritta sia fumettata, è totalmente figlia della genìa di Horror e il mio ultimo libro di racconti (Che hanno da strillare i maiali?, Ded'a edizioni), confezionato e strutturato omaggiando palesemente il Dottor Horror col Dottor Gechi di mia invenzione, ne è la dimostrazione. Il primo albo da me consapevolmente chiesto in acquisto è stato proprio l'Horror da cui ho tratto le storie Nosferatu e La Mano per Racconti di Fantasmi, datato marzo 1970. Avevo quattro anni e già ero in grado di leggere, grazie a Topolino, collezione di famiglia. In edicola (mentre mia madre faceva incetta di fotoromanzi), vidi la copertina di questo prelibato Horror n. 4: un cadavere scheletrico e una ragazza seminuda di spalle (le fondamenta, ancora una volta, di quello che oggi chiamo Necro-Romanticismo). In quarta di copertina un altro teschio incappucciato su fondo rosso. Tra soggetti e colori, la testata stessa, le storie contenute, quelle storie, in un colpo solo trovai tutti gli elementi base che definirono ciò che divenne, in seguito, la mia naturale urgenza di narratore. Un punto di partenza, che proustianamente pongo sempre avanti e non dietro di me.