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Opera Caracalla. Turandot tra i ghiacci di Fuksas
L'Opera di Roma ha aperto le sue kermesse estive della lirica negli spazi archeologici delle Terme di Caracalla con uno scenario nello scenario, una sorta di "mise en abyme" che, partendo dal calidarium giunge al frigidarium di Fuksas. Le scenografie di Massimiliano e Doriana Fuksas sono la cornice di "ghiaccio" architettonico a questa Turandot che celebra il compianto Giacomo Puccini nel centenario della sua dipartita (29 novembre 1924). La prima del 16 luglio - con repliche fino al 10 agosto - è stato un viaggio diretto sul podio da Donato Renzetti e con la regia di Francesco Micheli.
Prima dell'inizio, bisogna riportare il lamento dei lavoratori del Teatro dell'Opera per il mancato rinnovo del contratto, richiesto a gran voce e sollecitato dopo la scelta di andare in scena sia per la prima, sia per le seguenti rappresentazioni. Soprattutto dopo un riconoscimento così plateale da parte del Governo Italiano, firmato con il protocollo del 15 luglio per la promozione dell'arte musicale e del canto lirico, ovvero l'intesa siglata tra Camera e Fondazione Teatro dell'Opera di Roma.
Turandot appare in questa rappresentazione, doppia: attrice e cantante, l'una magrolina, in divisa da scolara, con due crocchie laterali che la fanno assomigliare tanto a Minnie, è impersonata da Chiara Bartolucci; il soprano americano Angela Meade, che nel 2022 ha debuttato al Costanzi con Ernani, ha cantato Turandot, con inenarrabile possenza e spiccato accento british, in particolare durante la fase degli "enigmi" da sciogliere per Calaf e poi nella crudele condanna di Liu'.
Il primo quadro è contemporaneo: Turandot è un adolescente che, preda di sé stessa, si rinchiude in casa davanti al flusso di chat e videgiochi, un pc o un cellulare tra le dita, completamente dipendente dai social ed avulsa dalla realtà: un fenomeno che in Giappone è stato denominato "hikikomori", ovvero, chi se ne stà in disparte, fuori della società; o meglio collegato socialmente soltanto tramite un mezzo elettronico con l'uso di internet. Una volta avremmo detto direttamente "caught in the web", afferrato dalla tela di ragno di Internet, e "web" significa "tela". Il padre cerca di scuotere l'adolscente Turandot e poi esce di scena: lei rimane al lato sinistro del palcoscenico, quasi a "guidare" l'altra Turandot: l'una silente, quindi, l'attrice; l'altra che "grida" il suo vuoto e gelo interiore per un'antica maledizione da cui non ha la volontà di liberarsi. Un'immagine che ben si conforma alle forme di ghiaccio simulato del palco: sembra quasi di percepire la presenza di Frankenstein tra i ghiacci, che si aggira scomparendo nella nebbia...
Di questo spettacolo colpiscono i colori puri, non mediati, il bianco del lutto in Cina (anche nell'Islam e per i funerali ebraici); il rosso fucsia di Liu', una magnifica anima in pena d'amor e pietade Maria Grazia Schiavo; e poi l'RGB, Red Green Blue di Ping (Red, Haris Adrianos), Pong (Blue, Marcello Nardis) e Pang (Green, Marco Miglietta), un altro riferimento al sistema IT (Information Technology) che è continuo nelle proiezioni sulle due torri di Caracalla a cura di Luca Scarzella, Michele Innocente, Matteo Castiglioni. In giallo invece, il Mandarino di Mattia Rossi del Progetto Fabbrica del Teatro dell'Opera.
Una lode a parte all'ingegnere delle luci Alessandro Carletti, e a Giada Masi per la coerenza nei costumi, dalle maschere delle eburnee fanciulle del Coro financo ai divertenti e variopinti Ping, Pong e Pang, nonchè ai device applicati sulle fronti dei protagonisti dell'opera, guidati in un gioco al massacro à la Quake.
Ad un certo punto, durante la scena degli enigmi e quella in cui Turandot ordinava di far parlare Calaf od i suoi amici ad ogni costo, ci è sembrato di vedere un'enorme ombra diabolica dietro il costume gigantico a campana bianco con un drappo azzurro di Turandot: come se prendesse ordini dalla giovane Turandot, una sorta di glaciale Intelligenza Artificiale che non sottostava alle celebri tre leggi di Asimov per proteggere l'uomo dai robot.
L'altra voce travolgente di questa Turandot è quella di Calaf: un Luciano Ganci in forma e colui che sul palco, insieme a Liu', ha la parte piu' emotivamente travolgente: quest'ultima, interpretata da Maria Grazia Schiavo - struggente nella parte - viene colpita a morte da sei gigli bianchi dalle fanciulle della Scuola di canto corale del Teatro dell'Opera, guidate dal Maestro Ciro Visco come il Coro dell'Opera, per tutta la durata in un'eccellente performance. Una scena feroce che ci ricorda anche come il giglio, simbolo della Vergine Maria, sia usato in questo caso per uccidere l'amore, la compassione e la pietà che guidano Liu' al grande sacrificio per salvare Calaf, l'amato. Certo, è stato un pò strano vedere Liu' rialzarsi rediviva e accompagnarsi al bravo Timur di Alessio Cacciamani dopo l'ultima nota del M° Puccini...
Donato Renzetti ha guidato l'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma ed il pubblico ha lungamente applaudito la performance dell'intera serata. Consiglio in ultimo di approfittare di un eccellente secondo cast con Lise Lindstrom (6, 8, 10 agosto) e Juliana Grigoryan (2, 6, 8, 10 agosto), nonchè Brian Jagde (25, 28 luglio) e Arsen Soghomonyan (solo il 10 agosto).