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Opera di Roma. I cupi vespri contro la misoginia
Uno dei titoli piu' risorgimentali del catalogo verdiano ha inaugurato la stagione 2019-2020 il 10 dicembre scorso: Les vêpres siciliennes. Sul podio il Maestro Daniele Gatti ha altrettanto dato principio alla “sua” stagione al Costanzi come Direttore musicale con un capolavoro arduo per lettura musicale. Fino al 22 dicembre, a tre giorni dal Natale, in originale francese, non censurato con due intervalli e la presenza dei balletti.
Riferendosi alla rivolta in Sicilia contro i francesi del 1282, Giuseppe Verdi, su commissione dell'Opéra de Paris ebbe l'incarico di scrivere un soggetto che il librettista Eugène Scribe gli propose traendolo da Le Duc d’Albe, libretto scritto nel 1838 per Halévy, e che sostituì per luogo e popolazione: le Fiandre divennero la Sicilia mentre i fiamminghi divennero i vendicativi siciliani, ribelli patrioti in un medioevo a due passi metaforici dal Risorgimento. Nel libretto Scribe fu coadiuvato da Charles Duveyrier mentre Verdi diede fondo alla sua abilità musicale pensando nondimento a cori, due balletti e divertissiments a iosa.
Gatti introduce con grande proprietà d'interpretazione l'ouverture: il suo agire di bacchetta è di ampia apertura e coinvolgimento con l'Orchestra, lento, soffice, e molto controllato nell'entrata del tema dominante e lirico. Il Maestro Gatti ha studiato a fondo una delle opere piu' ricche di tessitura e variabili msuicali del Maestro di Busseto. Con le percussioni tutte sul lato destro del golfo mistico, il dialogo coi violini sul tema lirico ha una grande profondità: un rapporto perfetto quanto significativo. La tarantella del secondo ed il bolero “siciliano” del quinto aprono ad una direzione che accarezza il pubblico nelle due rappresentazioni climax dell'oppressore angioino.
Le tre voci maschili coinvolte infatti sono oppositive e gradualmente si aggravano, sia per estensione sia per registri: cominciamo da Henri, il tenore John Osborn, così commovente financo nello scoprire il suo genitore nell'oppressore Guy de Monfort, governatore in Sicilia per Carlo d'Angiò e interpretato dal baritono Roberto Frontali. Il basso Michele Pertusi è un personaggio a tutto tondo, avido di vendetta e colmo d'odio nella parte del rivoluzionario Jean Procida.
Il dramma della guerra è tutto nella struttura a muri, quasi un lager, dove non splende nessun raggio di sole ed il mare non è minimamente adombrato dalla scenografia di Richard Peduzzi: l'allestimento di Valentina Carrasco, che vedemmo per la prima volta all'Opera di Roma come collaboratrice di Alex Ollè de La Fura del Baus prima in Le Grand Macabre nel 2009 e poi nel 2017 ne Il Trovatore, è piuttosto chiusa in questo “Muro” che diviene torre e prende vita drammatica nei due balletti della tarantella del secondo atto e della siciliana/bolero del quinto.
Il nodo dei Vespri è tutto nell'oppressione piu' cupa dei siciliani e delle loro donne, violentate dai soldati e ingravidate con lo stupro marziale: è da questo che nasce Henri, da una siciliana violentata dal Governatore de Monfort, e che come un fantasma aleggia insieme alle altre donne che come fantocci sono costrette a ballare coi soldati impietosi e snaturati da ogni senso d'umanità.
Una grande lettura moderna questa di Carrasco insieme a Massimiliano Volpini che hanno tradotto nelle due coreografie principali che adombrano come i “vinti” siano carne da macello per i vincitori. Daniele Gatti riesce a dirigere rivelando appieno i colori ed i timbri degli strumenti, che sollevano dal turpe delitto dell'abuso maschile, così odioso ed esteso nella nostra bella patria.
Ed allora si spiegherebbe pure quel titolo dovuto alla censura italica del tempo, Giovanna di Guzman e l’azione spostata in Portogallo, su libretto di Ettore Caimi e Arnaldo Fusinato per la versione italiana. Qui invece, i Vespri dell'originale francese vedono in Hélène la loro patriota, stretta tra ribellione e amore – sarà la sposa del riconosciuto figlio di Monfort, ingenuamente credendo ad una pace possibile -: “L’aura soave che qui respiro/Già tutti i sensi m’inebbriò.”
Procida è invero il personaggio senza mezze misure che già nel secondo atto, recita, nella celebre cabaletta “Et toi, Palerme” l'insurrezione che agogna e addivverrà al termine di questo dramma cupissimo e che, vien da aggiungere con amarezza, potrebbe non trovare tutti questi patrioti oggi tra le fila di un simbolico Risorgimento, contro la misoginia in questo caso, male ben rappresentato in scena e che, insieme alla bruttezza di tanta maleducazione diffusa nella Capitale, fa raggelare il sangue oltre a far discendere la Città Eterna al 18° posto in classifica per vivibilità.
Sicuramente la stagione del Costanzi invece, fa tutt'altro: a pieno pubblico e scrosciante d'applausi per un Verdi difficile da suonare, da cantare, da recitare e da ascoltare ha dato una dimensione di sé altissima per Orchestra, sua conduzione del M° Gatti nonché il Coro del Teatro dell’Opera di Roma diretto dal Maestro Roberto Gabbiani. La voce del soprano Roberta Mantegna, limpidissima, in un francese distillato elegantemente e suggestivo nel profondere emozioni; il delicato ed intenso Henri di Osborn; Monfort in tutte le gradazioni dal tirannico al compassionevole, vinto dall'affezione al figlio (ri)trovato; Pertusi è potente quanto ciclopico nella sua parte: voci armate d'emozioni fortissime.
Il compito del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Eleonora Abbagnato con la partecipazione degli allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma diretta da Laura Comi è stato altrettanto arduo, scene ricchissime di pathos e tinte coi colori forti della crudeltà, per un'inaugurazione densissima di senso.