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Opera di Roma. Tristan, il diamante della Notte
Uno spettacolo primordiale il Tristan und Isolde di Pierre Audi al Teatro dell'Opera di Roma: una Handlung, secondo il sottotitolo di Richard Wagner, un'“azione interiore” che si espleta come rito iniziale dell'apertura di stagione 2016-2017 del Costanzi con il debutto di Daniele Gatti sul podio in un allestimento in coproduzione con il Théâtre des Champs-Élysées di Parigi ed il De Nationale Opera di Amsterdam. Dal 27 novembre fino all'11 dicembre 2016 con le voci di Rachel Nicholls come Isolde, di Andreas Schager nella parte di Tristan e Re Marke interpretato da John Relyea (solo l'11 dicembre sarà sostituito da Andreas Hörl), aggiudica un primato di spessore al Teatro di Roma Capitale una decina di giorni prima del 7 dicembre, storico appuntamento con l'inaugurazione de La Scala.
L'epos romantico di cui si ciba avidamente il mito medievale di Tristano e Isotta – e le sue varie versioni, dalla doppia Isotta fino al poema del XIII secolo del Minnesänger tedesco Gottfried von Straßburg da cui proviene in larga parte la scelta di riscrittura wagneriana (Tristan und Isolde, 1856-1859, ispirata e dedicata a Mathilde Wesendonck) – diventa, attraverso la scomposizione e la ricomposizione del Maestro del Musikdrama (da lui stessa rifiutata come denominazione: usava invece Wort-Ton-Drama, parola-suono-dramma), il grande afflato che, nel mondo illusorio e attraverso il filtro d'amore e allo stesso tempo di morte, rivela, al di là del Velo di Maja schopenahueriano, l'unione insanabile ed inscindibile di un amore eterno quanto infinitamente erotico, come la melodia (infinita) che lo sostanzia. Per approfondire, consiglio L'amore e l'occidente di Denis de Rougemont che esplicita la storia del Tristano e Isotta attraverso criteri diacronici e di analisi topica del tema principale di amore e morte, alla luce della dicotomia occidentale di matrice cristiana del mito di Tristano.
Ritornando invece a Wagner ed alla sua sistematica struttura musicale, qui la catena di Leitmotive, a differenza del Ring, è una magnifica proiezione di ciò che accade sulla scena “interiore”: e così i motivi si intrecciano per avversarsi, oppure sono l'uno origine dell'inverso dell'altro (la Sofferenza e il Desiderio), in un connubio ben più variegato della struttura massiccia del Ring. Questo intreccio affascinante barbaglia nella luce finale del terzo atto, dopo essersi scinta e discinta attraverso tutto il percorso di svelamento, proposto, ed imposto dalla coraggiosa Isolde. Proponendo nel duetto del secondo atto una summa dell'illusorietà finalmente abbattuta dal buio di quella notte (con)sacrata e sacrale – i Der Nacht Geweihte (benedetti o “Sacrati” dalla Notte, trad. mia) di Novalis, l’invocazione alla notte “O sink hernieder, Nacht der Liebe” (Oh scendi quaggiù, notte dell’amore) e il Sogno d'amore –, che, attingendo all'origine primaria, la rende un tutt'uno con l'azione interiore (Handlung, lo ricordiamo) che si rivela ai nostri occhi.
Magnifica la britannica Rachell Nicholls nella parte di Isolde: fin dall'inizio ha un portato e una caratura identiche alla rappresentazione simbolica che ne ricava Pierre Audi: di enorme potenza e grande espressività, fin dal primo atto, per raggiungere “animalesche e selvagge” attorialità sia nel canto sia nel corpo, chiara traduzione di quell'intensità erotica che è coniugata intrinsecamente con la spiritualità che si addensa nel nucleo fulgido del Tristan.
Andreas Schager ci è sembrato perdere il lustro della voce nell'ultimo atto, mentre era ben cadenzato e affiatato con Nicholls per il duetto vibrato all'unisono sulla notte “consacrata” loro dal luminescente diamante nero che si profila dietro le loro sagome fino a divenirne il cuore palpitante: il delirio romantico della Sehnsucht è rappreso nella sua rete geometrica, fin nelle sue più intime forme.
Il basso John Relyea nel ruolo di Marke è vibrato nel profondo della drammaticità della parte: affranto quanto compassionevole, ci è parso nella sua fulgida comprensione di questo “dramma interiore” che adopera il filtro come “apologia” di un reato di cui si carica consapevolmente, evidenziandone la caratura psicologica, pienamente intrisa della volontà wagneriana nella sua espressione più alta ed immersa nel Leimotiv come intima esplicitazione del portato originario e spirituale.
Ci ha commosso con la sua voce affranta dal dolore per la perdita dell'”eterno eroe Tristan” il Kurwenal di Brett Polegato, che con forza si era imposto nel primo atto subito come suo difensore, e strenuo, fin nell'ultima ora. La Brangäne di Michelle Breedt ci è sembrata nella parte come l'odioso Melot di Andrew Rees.
Grande prova per l'Orchestra dell'Opera che ha ben affilato le armi grazie ad una sicurezza totale di Gatti – lo ricordiamo invitato a Bayreuth per il Parsifal, il tempio “festivaliero” di Wagner, dove la “buca” per l'Orchestra ha preso il suo posto invisibile – sul podio. Perfetto il Coro diretto come sempre da Gabbiani.
Trasfiguriamo in questa notte arcana “in dem wogenden Schwall” (nell'ondeggiante marea) dell'estasi (Lust), il finale di Isolde che è lo stesso di Tristan “mild und leise” (mite e calma) perché lei legge le sue parole quanto le sue espressioni emotive: il Liebestod delle ultime parole di Tristan prima dell'ascesa nella luce di Isolde li erge alla divinità della Minne: “Dass wonnig un hehr die Nacht wir teilen”, “che a noi due innamorati e sacri appartenga la Notte”.