Supporta Gothic Network
Opera. Perez dirige Rienzi e Šostakovič
L'ultimo degli straordinari concerti dell'Opera di Roma, finalmente riaperta e musicante, quello del 29 maggio scorso, è dedicato a due grandi della musica: Richard Wagner e Dimitrij Šostakovič, con l'ouverture del Rienzi il teutonico, con la Quinta Sinfonia il russo. Sul podio dell'Orchestra del Teatro dell'Opera, un direttore che conosciamo approfonditamente per aver diretto tanto e bene al Costanzi, a cominciare da Il Naso di Šostakovič: Alejo Perez.
L'argentino Perez è un grande specialista dei russi e di Wagner ed ha aperto la stagione 2019-2020 all'Opera Ballet Vlanderen delle Fiandre tra Anversa e Gent con il Lohengrin; al nostro Costanzi ha diretto varie opere ma ricordiamo in particolare La Cenerentola di Rossini e L'Angelo di Fuoco di Prokofiev, entrambi con la regia di Emma Dante; nonchè ha diretto la meravigliosa Lulu di Berg con William Kentridge alla regia. Un direttore che da Buenos Aires è stato sul podio dei piu' rinomati festival, Salisburgo, uno per tutti, e teatri, la Elbephilarmonie di Amburgo.
Rienzi è una delle prime opere del giovane Richard Wagner (nato a Lipsia nel 1813 e morto a Venezia il 1883), e l'unica dedicata a Roma: Cola di Rienzo, abbreviato in Rienzi, Der Letzte der Tribunen (L'ultimo dei Tribuni), diventa il titolo per Wagner di un'opera terminata nel 1840. Questo grand opéra in cinque atti è tratto dal romanzo di Edward Bulwer Lytton.
Cola di Rienzo all'inizio era l'idealista Tribuno del Popolo, abbreviato in Rienzi, che difendeva i loro diritti contro gli espropri e la violenza della casta nobiliare: un Tribuno sancito dal Popolo Romano come figura liberatrice e repubblicana dell'epoca, in lotta contro gli odiati nobili, sfruttatori del popolo e di Roma. Chiaramente questa figura ha un nesso particolare con Wagner e la sua biografia: grande amico dell'anarchico Bakunin, scrisse Rienzi tra 1837 e 1840, otto anni prima dei Moti rivoluzionari di Dresda ai quali partecipò, scampando all'arresto “solo” perché era un compositore – ergo ritenuto inoffensivo dai guardiani della pace pubblica. In questa prospettiva si comprende anche meglio l'opera che, a partire dalla meravigliosa Ouverture ascoltata stasera, avvolge con una musica romantica e colma di pathos che, nella versione completa dura quasi cinque ore. Perez ha condotto superbamente l'ouverture, dopo l'omaggio lungamente applaudito alla grande danzatrice Carla Fracci, appena scomparsa, e richiesto a gran voce da lui, dall'Orchestra, e dal pubblico intero: un momento di pathos che ha preceduto la musica di Wagner.
La Quinta sinfonia di Dmitrij Šostakovič, è divisa al vecchio "modus mahleriano" in quattro movimenti canonici: Moderato, Allegretto, Largo e Allegro non troppo, ed è caratterizzata da un "giubilo forzato" e grottesco, quello provocato dalle purghe staliniane che inibirono lo stesso compositore dal proseguire la sua ricerca compositiva dopo il celebre articolo di condanna per "formalismo" della Pravda (uscito per ordine di Stalin) contro di lui del 1936, dopo la rappresentazione della sua opera cardine, Lady Macbeth del distretto di Mtsensk, subito vietata.
La probante forza della censura si ode con profondità nei lamenti, nelle rivoluzionarie e grottesche marcette, segno distintivo di DSCH, che stanno a rappresentare la lotta interiore ed implosiva che ogni tanto esplode tettonicamente con le fanfare di quel totalitarismo che ciclicamente torna, "non" repetita iuvant e che i cicli vichiani sottolineano come movimento centripeto della storia.
Eseguita nella Leningrado non ancora assediata il 21 novembre 1937 con Evgeny Mravinsky sul podio, a celebrare il ventennale della Rivoluzione di Ottobre, la Quinta Sinfonia in re minore op. 47 è falsamente "riabilitativa": Šostakovič infatti doveva si ossequiare ai diktat staliniani che pretendevano da lui un ritorno al "classico" ordine in quattro movimenti; e naturalmente doveva configurarsi come celebrativa dell'origine del socialismo reale ma, come hanno compreso tutti i russi che quella sera parteciparono all'esecuzione, in realtà è l'ennesima accusa, come testimoniano le stesse parole del compositore: "Chiunque pensi che il finale sia glorioso è un idiota - quale esultanza potrebbe mai esserci?" Mitislav Rostropovich, - di cui consiglio la notevole incisione per Deutsche Grammophon con la National Symphony Orchestra come quella di Previn con la London Symphony per RCA; per gli amanti il cofanetto completo con Mariss Jansons sui podi delle piu' celebri orchestre del mondo, per Warner - che difese il nostro ai tempi delle prime accuse, condivise in pieno la risposta del popolo russo, che leggeva il messaggio di sofferenza ed isolamento del compositore sotto il regime.
Ed i quattro movimenti in cui evolve lo sottolineano: il Moderato iniziale propone subito una riflessione, ed il tema lirico esposto, è soltanto sollevato dall'arpa nel finale, per il resto sono una serie di avvertimenti che contrastano la melodia melanconica di fondo. L'Allegretto è uno scherzo in piena forma danzante, il piu' orecchiabile e trascinante intervallato dalle marcette sarcastiche ed un'ultima parte in pizzicato. Il Largo, è una pausa nostalgicamente accarezzante e flessuosa, con un'arpa struggente e nostalgica di Agnese Coco. prima del gran finale roboante tra grancassa e gong dell'Allegro non troppo.
Nell'opera Il Naso (del 1928 da Gogol), Šostakovič aveva già dimostrato una particolare propensione per questo tipo di espressione satirica in chiave surreale, per deridere la dittatura comunista, che si serviva dei burocrati per mantenere quelle Anime morte, ovvero i servi della gleba, la cui fame generò l'adesione agli ideali marxisti della rivoluzione permanente, mai attuata.
Siamo quindi fra due dittature: l'una antica, nella Roma medievale, l'altra piu' vicina, il totalitarismo che ha retto piu' a lungo in Europa (fino al 1989), quello sovietico. Ne abbiamo uno, derivato dal libretto rosso di Mao oggi, perfettamente in accordo con gli stati occidentali, e non sembrerebbe solo per La Via della Seta, che pone dei forti dubbi sul cammino della civiltà e su quali saranno le direzioni geopolitiche complessive. Una questio emblematica del e sul nostro futuro in cui siamo coinvolti tutti.
Uno scroscio meritatissimo di applausi e cori di "Bravo e Bravi" per Alejo Perez e l'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma che hanno dato prova di un affiatamento in consonanza, un brivido che ha percorso tutto il pubblico che ha proseguito gli applausi facendo riuscire tre volte il direttore e dando spazio alle prime parti per un vero "abbraccio", metafora antropologica tradotta dall'applauso, come insegnava Desmond Morris.