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Pablo Echaurren alla Fondazione Roma. Un Chromo memento mori
Una Crhomo Sapiens Feast quella di Pablo Echaurren alla Fondazione Roma Museo di Via del Corso nelle sale di Palazzo Cipolla, che da adesso in poi dedicherà gli spazi museali soltanto all’arte contemporanea, devolvendo la sua mostra permanente al Museo dell’Antico sito a Palazzo Sciarra proprio di fronte. Fino al 13 marzo 2011 la carica cromatica di Echaurren sarà a disposizione del pubblico offrendo una parabola completa sulla poliedricità del pittore, grafico, ceramista…bassista.
A cura di Nicoletta Zanella, la mostra avvolge l’intera carriera di Echaurren e si apre sulla città che gli ha dato i natali e tuttora lo ospita dentro il suo nucleo fondante: la Roma che dipinge Echaurren infatti si erge colle sue miriadi di labirintici colossei, le guglie delle basiliche, le croci innumerevoli con strani terzi occhi che ironicamente puntano verso il centro della sala, dove l’ombelico racchiude un mosaico di teschi con inserti oro dal titolo Umbilicus Urbis (2006). Questo memento mori, probabilmente di valenza ed uso apotropaico, ricorda che il teschio di diamanti di Damien Hirst sarà fino al primo maggio 2011 in mostra a Palazzo Vecchio a Firenze. Il nome della controversa opera di Hirst è For the Love of God, ed è sia un memento mori, come gli innumerevoli altri teschi di Echaurren che tempestano tutte – o quasi – le sale, sia un assunto sull’inesorabilità della morte: il cui emblema, - qui evidentemente di sfrenato lusso - “Per l’amore di Dio” come recita il titolo, rappresenta la domanda implicita, dell’opera che, paradossalmente, può tramutarsi in arte ricoprendosi di 8601 diamanti come ha fatto Hirst con questo cranio del ‘700.
I teschi di Echaurren ripetendosi, nonostante l’universo cromatico esploda nelle sue varietà eterogenee di esseri animati ed inanimati, ci fanno notare come,- anche nella sala dedicata alle maioliche blu faentine, dalla Faenza dove istantaneamente “d’amor s’è preso” per questo cobalto che furoreggia sulla bianca ceramica -, l’elefantino del Bernini si trasforma in un glottesco: dalle grottesche che ricoprivano di pitture le grotte nel ‘500 e di matrice romana primeva, intitolato Il mio ombelisco, ricoperto di fantomatici tritoni, salamandre ed altre creature mitologiche, che inquietano non poco.
La Nana blu del 1994, cosìccome la stella di Il concavo sfavilla ed ancor più La fontana muta, non possono farci pensare che alla mostra precedente e coloratissima di Niki de Saint Phalle, le cui Nane hanno imperversato per parecchi mesi in sculture giganti proprio nelle medesime sale.
Oltre alle innumerevoli sale dedicate alla grafica, ai libri, che prospettano efficacemente la sua inesauribile passione collezionista anche per il futurismo, colpisce quella dedicata alla Natura: comprendendo dalle farfalle attorno ad un ragno rosso, rutilanti prede di un captatore, The Dark Side of the Light (2007), ci invischia tra le oscure falene di Il vestito della festa, 2007, e tra le rosee rose assediate però da teschi affligenti ai lati. La consapevolezza della morte ci condanna alla vita, recita il titolo di quest'ultima opera del 2010, per coronare con un cerchio perfetto la caducità, tra le vampate dell’oro alchemico che si compone a scia sulle regine dei fiori.