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Palaexpo. Il cuore delle Dolomiti secondo Georg Tappeiner
Avvolte da veli di nebbia, da nuvole o al contrario da una limpida luce che ne esalta i colori, le cime dolomitiche fotografate da Georg Tappeiner esprimono mirabilmente il fascino che queste montagne hanno sempre esercitato sugli uomini. Fino al 2 settembre 2018 possiamo ammirarle nella mostra “Dolomiti. Il cuore di pietra del mondo”, ospitata nel Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Riconosciute Patrimonio mondiale dell’umanità dal 2009 per l’eccezionalità geologica, geomorfologica e paesaggistica, le Dolomiti hanno contribuito a creare il mito moderno della montagna come esaltazione della Natura e sfida all’audacia degli uomini. La loro straordinaria bellezza ha ispirato innumerevoli personaggi del mondo dell’arte, della musica, della scrittura, tra cui Tiziano Vecellio, nato a Pieve di Cadore, il musicista austriaco Gustav Mahler, lo scrittore Dino Buzzati, e ovviamente fotografi e visitatori provenienti da tutto il mondo.
Georg Tappeiner in queste montagne c’è nato e, dopo essere vissuto per alcuni anni a Londra e a Milano, dove ha fatto il fotografo pubblicitario, ha scelto di ritornare in Alto Adige e si è specializzato in foto paesaggistiche e aeree. Le sue immagini artistiche sono talmente stupefacenti da aver spinto la Fondazione Dolomiti Unesco a realizzare questa mostra, che giunge a Roma dopo essere stata in diverse città tedesche, a Vienna e a Praga. L’allestimento romano, nello Spazio Fontana del Palaexpo, comprende 40 fotografie di grande formato, che raffigurano un paesaggio che è di per sé un’opera d’arte.
Può esistere qualcosa di più bello? Si domanda nel catalogo trilingue (italiano, tedesco, inglese) Erwin Brunner, ex direttore di National Geographic Germania, anche lui nato in un borgo dolomitico, ai piedi della Croda dei Baranci e Cima Tre Scarperi. Indubbiamente nel passato l’approccio al mondo alpino non era facile, tanto che i montanari non salivano mai “lassù”, sulle vette di quei “Monti Pallidi” alla cui protezione s’erano affidati - racconta Brunner - E così la “scoperta” delle Dolomiti restò riservata ai “cittadini”. Circa 200 anni fa iniziarono ad arrivare nella zona dolomitica, da ogni dove, personaggi mossi dalla sete di conoscenza. Prima di tutti gli altri un francese amante dell’avventura: Déodat de Dolomieu. Questi fu colpito dalla strana roccia chiara e ne determinò la natura: poco dopo l’avrebbero chiamata “dolomia” in suo onore e i monti costituiti da questa roccia, che si ergono tra i fiumi Rienza, Piave, Brenta, Adige e Isarco, avrebbero assunto il nome di Dolomiti.
In seguito il geologo tedesco Ferdinand von Richthofen scoprì che le Dolomiti non sono che gigantesche scogliere coralline fossili: un mondo acquatico incantato sviluppatosi strato su strato milioni di anni fa a una latitudine corrispondente a quella dell'attuale Niger o dello Yemen, riemerso e poi innalzatosi molto più tardi, spinto da immani forze orogenetiche.
Pareti vertiginose, guglie, torri, creste pittoresche testimoniano il travaglio ciclopico del sollevamento alpino e il lavorio di demolizione ed erosione praticato dagli agenti esterni. Sono gigantesche sculture naturali che contribuiscono alla conoscenza geologica del nostro pianeta, perché le diverse formazioni carbonatiche che le compongono forniscono uno spaccato della vita marina nel periodo Triassico.
Ma le nozioni di geologia apprese a scuola non sono d’aiuto per il comune visitatore se non per la verifica degli aspetti più macroscopici degli straordinari rilievi. Solo gli studiosi sono in grado di capirne a fondo la stratigrafia e la varietà dei reperti fossili. Eppure anche questo aspetto “scientifico” ha ispirato un letterato ottocentesco come Giacomo Zanella, che nella poesia “Sopra una conchiglia fossile” ci fa sognare con questi versi … Occulta nel fondo / d’un antro marino / del giovane mondo / vedesti il mattino; / vagavi co’ nautili, / co’ murici a schiera; / e l’uomo non era. …
Le foto della Marmolada, delle Torri del Vajolet, delle Tre Cime di Lavaredo, del Catinaccio, del Gruppo del Sella e di tutte le altre meravigliose cime, come pure delle valli con i pascoli (bellissima la foto con la mucca in primo piano scattata nella malga di Cisles), dei prati, delle foreste e delle nevi che si intravedono qua e là tra le rocce, trasmettono un senso di pace e di elevazione spirituale. Incantati davanti alla magia di queste montagne, ci sentiamo arricchiti dentro, perché, come si legge nel catalogo, nella natura l’uomo riceve molto di più di quello che cerca (John Muir).
Tappeiner ha scattato le foto con la sua fedele Hasselblad nella primavera del 2010 nel corso di diverse settimane, di giorno e nelle notti di luna piena, solitamente a piedi e talvolta a bordo di un elicottero. La pubblicazione di 15 di queste foto nell’edizione tedesca di National Geographic ha riscosso un tale successo che in seguito ne sono state selezionate più di 50 per farne una vera e propria esposizione ed è così che è nata la mostra.