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Palazzo Barberini. La bizzarra fantasia di Arcimboldo
Mostruosi, ironici, meravigliosi o stravaganti, a seconda del punto di vista, contengono tutti i doni di Madre Natura in una sorprendente sovrabbondanza allegorica. Sono i celebri ritratti compositi di Arcimboldo (Giuseppe Arcimboldi, 1526-1593), assolutamente da non perdere, esposti fino all’11 febbraio 2018 nella mostra che gli viene dedicata per la prima volta a Roma a Palazzo Barberini. Organizzata dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica, dirette da Flaminia Gennari Santori, e da Mondo Mostre Skira, la mostra, ricca di un centinaio di opere (tra cui una ventina di capolavori autografi di Arcimboldo), è a cura di Sylvia Ferino-Pagden, una delle maggiori studiose del pittore e già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
La sua è un’arte figlia del suo tempo, che può essere letta a più livelli, intrisa com’è di neoplatonismo e di alchimia (pensiamo in particolare all’uno che racchiude il tutto e alla legge ermetica della corrispondenza: Come sopra-così sotto). Già durante la sua vita umanisti, artisti e teorici dell’arte come Giovanni Paolo Lomazzo e Gregorio Comanini hanno molto ammirato i suoi “capricci” e “scherzi”, ovvero le sue teste composte da fiori, frutti e ortaggi di tutte le stagioni, pesci, conchiglie, animali e oggetti vari. Nel dialogo di Comanini, Il Figino, ovvero del fine della pittura, in particolare, viene evidenziato come la sua pittura sia una combinazione tra l’imitazione “icastica”, ossia la riproduzione di oggetti reali, e l’imitazione “fantastica”, il cui oggetto è solo nell’immaginazione dell’artista.
Nel dibattito cinquecentesco sulla pittura fantastica, in seguito alla scoperta delle grottesche romane (decorazioni che devono il loro nome alle figure composite della Domus Aurea, per ammirare le quali i pittori si calavano attraverso pozzi e grotte), Comanini, contrapponendosi al giudizio negativo di Platone sulla fantasia, dà alle creazioni di Arcimboldo una grande importanza, anche ai fini del discorso teorico sulla libertà artistica. Certo il suo tipo di ritratto, ben lontano dall’imitazione o dall’idealizzazione, è una categoria a sé, in grado di unire riproduzione naturalistica, invenzione e allegoria. Questa sua mimesi provoca nello spettatore un divertimento e allo stesso tempo un piacere intellettuale.
Formatosi a Milano alla bottega del padre Biagio, nell’ambito dei seguaci di Leonardo da Vinci, diventa ben presto un protagonista della cultura manierista internazionale, molto apprezzato dalle corti asburgiche di Vienna e Praga, al servizio di Ferdinando I, Massimiliano II e Rodolfo II. Quest’ultimo imperatore, fortemente attratto dall’astrologia, dall’alchimia e dalle bizzarrie in genere, tanto da ospitare alla sua corte di Praga personaggi eccentrici e controversi (come l’inglese John Dee che sosteneva di parlare con gli angeli), venne ritratto da Arcimboldo come Vertumno, il dio romano delle stagioni e delle metamorfosi, con una pera al posto del naso, mele come guance, spighe come sopracciglia, e così via. La simultanea presenza in questo dipinto di frutti e fiori di ogni stagione, provenienti da diverse regioni dell’Europa, “allude alla pretesa degli Asburgo di regnare su un macrocosmo di eterna primavera in cui sarebbe iniziata l’età dell’oro”, come scrive Andreas Beyer nel catalogo.
Le immagini di Arcimboldo erano sempre dense di messaggi in codice, non dissimili dagli ideogrammi egizi, secondo il pensiero dell’epoca, tanto che Comanini definisce Arcimboldo “un dotto egizio”. La mostra, che si apre con il celebre Autoritratto cartaceo, dove Arcimboldo si presenta come scienziato, filosofo e inventore, è divisa in sei sezioni, a partire da quella dedicata all’Ambiente milanese, che raccoglie una serie di raffinati oggetti (cristalli, oreficerie, armature da parata) creati da maestranze locali, un Autoritratto di Giovanni Paolo Lomazzo, due vetrate del Duomo di Milano con Storie di Santa Caterina d’Alessandria, disegnate da Arcimboldo, e opere religiose di artisti a lui contemporanei, tra cui La Madonna dell’albero del leonardesco Cesare da Sesto. Già in questa prima sezione sono esposte due tavole, dipinte ad olio da Arcimboldo, con le giocose personificazioni dell’Estate e dell’Inverno (1555 - 1560, Monaco di Baviera, Bayerische Staatsgemäldesammlungen).
Nella seconda sezione dedicata alla Corte degli Asburgo, troviamo altre personificazioni delle Stagioni (Primavera, Estate, Autunno, Inverno), ovvero la seconda serie relativa al periodo viennese (1563, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie), in felice dialogo con le personificazioni degli Elementi (1566): Acqua, Aria, Fuoco, Terra, quest’ultima mai vista nelle esposizioni degli ultimi venti anni. I soggetti sono dipinti come busti, di profilo sinistro o destro, che si guardano reciprocamente. L’Aria con i suoi uccelli fa pendant con la fiorita Primavera, il Fuoco (con fiammeggiante capigliatura, armi da fuoco e collare dell’Ordine del Toson d’Oro) con l’arida Estate, la Terra con i suoi mammiferi con i frutti dell’Autunno e l’Acqua, composta da più di 60 specie di animali acquatici, è accostata all’umido e gelido Inverno. Ma, oltre a queste teste composite, troviamo anche veri ritratti attribuiti ad Arcimboldo, come quelli di tre arciduchesse, tra cui la giovanissima Anna, figlia dell’imperatore Massimiliano II (ritratta nel 1563). Un compito di Arcimboldo presso la corte degli Asburgo era quello di organizzare feste, tornei e spettacoli scenici, con la progettazione di innumerevoli apparati effimeri, e questo spiegherebbe il motivo per cui solo una piccola parte del suo lavoro sia giunta fino a noi.
Studi naturalistici e Wunderkammer sono il tema della terza sezione, che espone meraviglie della natura (coralli, pesce sega, zanne d’avorio), oggetti curiosi delle collezioni asburgiche e alcuni dipinti raffiguranti donne e uomini "irsuti", che venivano esibiti a corte come divertente intrattenimento. Notevole è il ritratto della pelosa Antonietta Gonzales, eseguito da Lavinia Fontana. Seguono le Teste reversibili, ossia quelle che, se vengono ruotate di 180 gradi, assumono una conformazione diversa, come si può vedere in mostra da specchi sistemati ad hoc. Notissimi il cosiddetto Ortolano (o Priapo) e il Cuoco, che sono in rapporto con il genere della Natura morta, che si andava diffondendo nella Milano di fine Cinquecento e inizio Seicento. Seguono le sezioni del Bel composto, che analizza il metodo compositivo in vari contesti culturali, e Pitture ridicole, che comprendono vere e proprie caricature, come nelle personificazioni dei Mestieri, dei quali vediamo in mostra il Giurista e il Bibliotecario.