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Palazzo Braschi. I giardini urbani di Raffaele De Vico
A Raffaele De Vico (1881-1969) si deve la sistemazione di molti spazi verdi di Roma nella prima metà del Novecento, eppure pochi, escludendo gli esperti, ricordano il suo nome. La mostra che gli viene dedicata nel Museo di Roma a Palazzo Braschi “Raffaele De Vico. Architetto e paesaggista” gli rende finalmente giustizia, evidenziando il suo operato lungo un periodo storico che attraversa il Regno d’Italia, il fascismo e la Repubblica.
La mostra, a cura di Alessandro Cremona, Claudio Crescentini, Donatella Germanò, Sandro Santolini e Simonetta Tozzi, presenta quasi 100 opere fra disegni, progetti, fotografie e documenti - alcuni mai esposti prima – provenienti per lo più dall’Archivio storico Capitolino, cui è stato donato l’anno scorso dagli eredi l’archivio personale dell’architetto. Una nota di colore è data dai dipinti a olio su tavola dell’amico giornalista Carlo Montani (1868-1936), acquistati nel 1936 dal Governatorato e conservati al Museo di Roma, che documentano l’effetto delle creazioni e delle trasformazioni dei parchi e dei giardini pubblici romani realizzate a opera di De Vico.
Sono immagini di giardini urbani, tra cui Colle Oppio, il Parco della Rimembranza a Villa Glori, Piazza Mazzini, con la sua fontana-giardino, il Parco di S. Sabina sull’Aventino, il Parco di Testaccio, che ci rimandano a quell’idea di città verde che, soprattutto nei secoli passati, prima della lottizzazione di molte ville patrizie, caratterizzava il paesaggio romano. È in mostra anche un dipinto di Villa Borghese, con il Casino del Graziano, dove De Vico abitò per oltre quarant’anni. Ed è a Villa Borghese - il cui giardino secentesco era stato risistemato a fine Settecento da Antonio Asprucci e Jacob Moore - che il giovane Raffaele de Vico affronta per la prima volta, sullo scorcio degli anni Dieci del Novecento, alcuni dei temi specifici della sua futura attività di architetto e paesaggista, tra cui il superamento delle irregolarità del terreno e il rispetto dell’orografia naturale, che si traduce in opportunità scenografiche.
De Vico era nato a Penne, in Abruzzo, ma già nei primi anni del Novecento lo troviamo a Roma, dove nel 1907 si diploma professore di disegno architettonico all’Accademia di Belle Arti e inizia a collaborare in vari cantieri pubblici romani - tra cui quello per il Monumento a Vittorio Emanuele II – ottenendo allo stesso tempo l’incarico d’insegnante al Liceo Artistico di via di Ripetta. Nel 1915 vince il posto per “aiutante tecnico di III classe” al Comune di Roma e contemporaneamente si aggiudica il concorso progettuale per un serbatoio d’acqua a Villa Borghese. Dopo aver conseguito il diploma di architetto, continua a realizzare per il Comune interventi architettonici e decorativi di edilizia pubblica, finché, notato dal Segretario generale Alberto Mancini per la sua abilità e duttilità nell’affrontare le problematiche estetiche e pratiche del lavoro, viene incaricato nel 1923 del progetto per la realizzazione del Parco della Rimembranza a Villa Glori e, l’anno successivo, della direzione dei lavori.
Da quel momento la sua carriera sarà prevalentemente indirizzata alla progettazione del verde, ottenendo il prestigioso incarico di “consulente artistico” per i giardini, ruolo che gli verrà ininterrottamente rinnovato fino al 1953. D’altra parte in gioventù De Vico aveva studiato come tecnico agrario ed era quindi un esperto della coltivazione delle diverse piante, oltre che un disegnatore di giardini intesi come opere d’arte. La sua visione urbanistica coincide con il concetto di “ambientismo” formulato da Gustavo Giovannoni, che vede il monumento come opera esemplare inserita nell'ambiente circostante, che viene ad essere considerato la cornice, apprezzata per i suoi specifici valori.
Il rapporto tra il nuovo e l'antico, cioè tra storicità e contemporaneità degli edifici, è particolarmente evidente nel Serbatoio d’acqua di via Eleniana (palazzo dell’Acea), nei pressi di Porta Maggiore, interessante per la scelta dei diversi materiali come i blocchi di tufo che ricordano le mura retrostanti, e il travertino tipico di Roma. Il cubo dell’edificio è alleggerito dai finestroni ad arco e da piccole fontane laterali a scala entro nicchie. Lo stesso rispetto ambientale è pure evidente nel restauro del Teatro di Ostia Antica, che presenta sì ampie ricostruzioni, ma secondo un criterio filologico scientifico che conserva sia il monumento sia l'ambiente circostante.
Alcuni suoi giardini sono stati devastati dall’incuria o distrutti da esigenze archeologiche successive, come è accaduto a Colle Oppio dove sono stati realizzati degli scavi per mettere in sicurezza la Domus Aurea e in via dei Fori imperiali, il cui verde è stato eliminato per riportare alla luce parte dei Fori e i resti dei palazzi di via Alessandrina, a loro volta distrutti in epoca fascista. Rimangono ancora visibili, per fortuna, le cosiddette esedre arboree nell'area tra il Vittoriano e Piazza Venezia, che, elevandosi su alti podi di travertino, riprendono il motivo del semicerchio tanto caro all’architettura romana antica.
La mostra è suddivisa in due sale secondo un criterio cronologico e nasce da un’ampia ricerca documentaria. I disegni originali rimasti sono pochi per la perdita dell’archivio Servizio giardini, ma per fortuna De Vico aveva l’abitudine di far fotografare tutto (le fotografie sono firmate Vasari) e la nascita del cinegiornalismo e della rivista comunale Capitolium, dove venivano pubblicati i suoi lavori, ci informano sul suo operato. Altri ricordi sono legati ai suoi parenti o amici. Era in rapporti con altri architetti della sua epoca come Antonio Muñoz, Giuseppe Sacconi, Giacomo Boni, Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini, con gli scultori Ettore Ferrari, Adolfo e Lorenzo Cozza e Pietro Canonica, con il critico d’arte Ugo Ojetti e con Gabriele D’Annunzio, anche lui abruzzese.
Tra le sue creazioni ricordiamo, oltre a quelle già citate, anche i progetti per i parchi Flaminio, Cestio e di Castel Fusano, i giardini di Villa Caffarelli, Villa Fiorelli e Villa Paganini, degli Anni Trenta, fino ad arrivare al grandioso progetto del parco «dantesco» del Monte Malo (Monte Mario, del 1951) e a quelli per i giardini dell’EUR (1955-1961) con il disegno della “grande cascata”. Vi sono anche alcuni progetti di opere mai realizzate, come per esempio l’Accademia di Belle Arti a Valle Giulia. Non passano poi inosservati i disegni relativi all’ampliamento del Giardino Zoologico (1928), con la Voliera e l’ingresso Ovest dai due motivi a spirale che ricordano la cupola borrominiana di Sant’Ivo alla Sapienza.